Risparmio gestito e l’eterna sfida: è meglio gestione attiva o passiva?
Quando si parla di investimenti nel risparmio gestito spesso si assiste alla battaglia tra i fautori della gestione attiva e i sostenitori di quella passiva. Quale è meglio? Innanzitutto, prima di decretare un vincitore, è bene capire come funzionano le due filosofie di gestione del risparmio e degli investimenti.
Per gestione attiva si intende quella strategia adottata dal gestore, responsabile del fondo o della sicav in cui sono investiti i soldi dei clienti, di prendere decisioni che mirano a battere il benchmark assegnato, ovvero quel parametro di riferimento previsto dalla normativa che serve a valutare, misurandola, la qualità della gestione stessa. Decisioni che, per citare le più comuni, riguardano alcuni titoli preferiti rispetto ad altri, sovrappesandoli o sottopesandoli, o ancora cercando di individuare il momento migliore per investire, sperando di cogliere un massimo di mercato per vendere e un minimo per acquistare, o ancora bilanciando in vario modo l’esposizione ai vari settori, ad esempio preferendo in un dato periodo più tecnologia rispetto ai titoli finanziari, o più azioni industriali rispetto alle materie prime.
La gestione passiva è il suo contrario. L’obiettivo è quello di minimizzare le scelte del gestore al fine di replicare fedelmente l’andamento del sottostante.
Si comprende facilmente che fare gestione attiva è più faticoso e oneroso rispetto al semplice riprodurre il parametro di riferimento. E infatti i costi che ne derivano a causa dello studio necessario, della ricerca, delle risorse impiegate e dei rischi maggiori, sono giustamente superiori a quelli di una gestione passiva. Si tratta di capire se sono anche giustificati.
Per capirlo e rispondenre alla domanda iniziale, Assiteca Sim ha condotto un’analisi sull’S&P Dow Jones Indices che dal 2002 effettua regolarmente questi confronti e che ha pubblicato da poco l’ultimo lavoro, “S&P Indices Versus Active Funds”, aggiornato al secondo semestre del 2017. Estrapolando i quattro principali mercati azionari (globale, americano, europeo ed emergente) si è verificato l’andamento dei fondi a gestione attiva di ogni singolo mercato rispetto al corrispondente indice di riferimento (il benchmark, cioè a dire la gestione passiva), lungo tre differenti orizzonti temporali d’investimento: tre, cinque e dieci anni. Ebbene, dai risultati dell’analisi di S&P Dow Indices i fondi a gestione attiva non superano i rispettivi parametri di riferimento, uscendo così sconfitti dal derby con i cugini della gestione passiva.
Ciò significa quindi che non esiste alcuna eccellenza che si distingua dalla massa e prevalga nel rispettivo mercato? “Certo che no – risponde Marcello Agnello, direttore commerciale di Assiteca Sim – singoli casi ci sono, ma quando accade lo si scopre a posteriori, non essendo il passato di per sé sufficiente a garantire per il futuro, e spesso equivale a cercare l’ago nel pagliaio”. Secondo l’esperto però gli investimenti a replica passiva, che siano ETF o fondi low cost, cresceranno sempre più nell’immediato futuro. Questo perché fare meglio degli indici è complicato e, causa le novità normative, i costi sostenuti per provarci devono essere resi noti ai clienti, insieme ai risultati.
“La domanda alla quale gli attori dell’industria e in particolare gli addetti alla consulenza dovrebbero rispondere è quanto sia giusto, o se si preferisce eticamente corretto, far pagare ai clienti, su strumenti finanziari già normalmente cari, costi aggiuntivi per una gestione attiva che al 90% (e oltre) non farà meglio del mercato in cui investe – conclude Agnello – A seconda del ruolo, se consulente, gestore, dipendente o azionista, la risposta potrebbe essere diversa. Unica è invece quella che darebbero i clienti”.