Bioeconomia: in Italia vale 260 mld di euro, oltre 570 start-up attive nel settore
Solo Germania e Francia presentano numeri più roboanti dell’italia sul fronte della bioeconomia, ovvero l’insieme dei settori che trattano materie prime rinnovabili di origine biologica. Con 260 miliardi di euro di valore della produzione, pari all’8,3% del totale nazionale, e 576 start-up innovative operanti nel settore, l’Italia si posiziona al terzo posto in Europa considerando i dati contenuti nel 4° Rapporto sulla Bioeconomia in Europa presentato oggi a Palermo dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, dal Cluster della chimica verde Spring e da Assobiotec, l’Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie, che fa parte di Federchimica, in collaborazione con l’Università degli studi di Palermo.
Industria alimentare copre oltre la metà del mercato
Dal rapporto emerge che il comparto più rilevante in termini di valore della produzione è quello dell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco, che copre oltre la metà del totale della bioeconomia (51%), per un valore superiore a 132 miliardi di euro, in crescita rispetto al 2015 di oltre due miliardi. Stabili o in crescita moderata gli altri settori manifatturieri più tradizionali afferenti alla bioeconomia (tessile, concia, legno e carta) mentre è risultata più dinamica l’evoluzione dei settori a maggiore contenuto tecnologico: farmaceutica, bioenergia e chimica bio-based.
“Il trend di crescita ha riguardato soprattutto le componenti più innovative e i mercati esteri – – commenta Stefania Trenti, responsabile Industry Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo – . La vivacità di questi settori è evidente anche dall’elevato numero di start-up della bioeconomia che abbiamo censito per la prima volta nel Rapporto. A questo proposito è interessante notare la specializzazione nella bioeconomia delle start-up innovative di alcune regioni del Mezzogiorno (Sicilia, Sardegna e Puglia). In queste regioni, lo sfruttamento innovativo delle risorse biologiche dovrà giocare un ruolo importante, soprattutto nell’ottica di valorizzazione degli scarti delle attività primarie, come la pesca, trasformandoli da costo a risorsa”.
“Fra le diverse fasi che compongono il ciclo idrico la più rilevante in un’ottica di bioeconomia- aggiunge Laura Campanini economista della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo – è quella della depurazione e della conseguente produzione dei fanghi. I fanghi possono costituire una fonte importante di biomassa, attualmente solo in parte sfruttata, visto l’ampio ricorso alla discarica. Lo studio evidenzia la necessità di passare da una logica di smaltimento a una di valorizzazione delle risorse biocompatibili. Dai fanghi si possono ricavare energia (biogas e biometano), singoli nutrienti (fosforo in primis) e biomateriali (bioplastiche). L’assetto normativo e regolamentare è cruciale perché in grado di indirizzare le scelte degli operatori. Il recente decreto sul biometano darà un impulso importante alla filiera”.