Si profila rischio Hard Brexit per la City. Ministri UK: Ue non apra a crisi finanziaria stile crash del 2008
E’ necessario che entrambe le parti continuino a lavorare “per assicurare che una catastrofe come il crash del 2008 non si ripeta”. E’ l’appello che il cancelliere allo Scacchiere Philip Hammond e il segretario UK per la Brexit David Davis, in questi giorni in Germania per incontrare il mondo dell’imprenditoria e ovviamente per promuovere la loro visione sulla Brexit, pubblicano sul quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung.
L’appello è, in un certo senso, anche un rimpallo di responsabilità, visto che i due ministri britannici sottolineano come sarebbe l’Unione europea, di fatto, ad aprire la porta a una nuova crisi finanziaria globale, nel caso in cui presentasse un accordo in stile Hard Brexit per i banchieri di Londra, sostanzialmente per la City.
“Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi congiunti, al fine di essere sicuri di non mettere a rischio quella stabilità finanziaria che abbiamo conquistato duramente, siglando dunque un accordo che supporti la collaborazione all’interno del settore bancario europeo, invece di provocarne la frammentazione”, hanno scritto i due ministri.
L’auspicio conferma l’obiettivo del Regno Unito di puntare a un accordo commerciale con Bruxelles che sia più ambizioso di quello che sembra essere nelle carte e segue le dichiarazioni rilasciate nella giornata di ieri da Michel Barnier, responsabile Brexit per la Commissione europea.
Barnier ha reiterato la linea dura sulla questione bancaria, dopo aver avvertito in precedenza che la regolamentazione dei rapporti finanziari non farà parte dell’accordo sul commercio.
Così, nel corso di un’intervista rilasciata a dicembre, Barnier aveva detto: “Non c’è un solo accordo commerciale che sia aperto ai servizi finanziari. Non esiste”, in netto conflitto con la posizione di Londra che, ben consapevole dell’alta incidenza che i servizi finanziari hanno sulla crescita del suo Pil, chiede che le banche e le istituzioni attive nel mondo della finanza possano, anche dopo la concretizzazione del divorzio dal blocco, continuare ad agire nell’Ue conservando il “passaporto finanziario”.
Bruxelles non sembra disposta a fare concessioni, convinta che le banche britanniche non debbano conservare i passaporti finanziari. Nessun accordo speciale per la City, insomma.
Barnier ha detto però anche che non c’è alcuna possibilità che al settore finanziario britannico venga accordato lo status di “equivalenza generale”, fattore la cui presenza permetterebbe alle società di continuare a operare in modo relativamente libero in Europa.
E’ indubbio che tali dichiarazioni allontanino non solo la possibilità che le banche conservino il passaporto finanziario, ma anche che al settore venga riconosciuto il principio di equivalenza.
Così Barnier ha rincarato ieri la dose: un paese che decida di lasciare l’Unione europea “non può più beneficiare del passaporto nel mercato unico e neanche di un sistema di equivalenza generale degli standard”. E’ vero comunque, ha aggiunto, che potrebbero esserci alcuni casi in cui l’Ue potrebbe “considerare alcune regole britanniche equivalenti, sulla base di un approccio proporzionato e basato sul rischio”.
La differenza tra il passaporto e il principio dell’equivalenza è che il primo è un diritto, mentre il secondo è un privilegio.
Inizialmente si pensava che Bruxelles, ferma sul no ai passaporti finanziari, fosse orientata almeno all’equivalenza: con essa, d’altronde, l’Ue si troverebbe in una posizione di forza, in quanto l’equivalenza può essere ritirata anche con breve preavviso, e anche perchè in questo caso il Regno Unito sarebbe comunque costretto a osservare le regole, senza avere voce in capitolo.
A questo punto, la speranza della City è che, quando le trattative per un accordo di libero scambio inizieranno, il Regno Unito riesca a convincere i 27 governi del blocco ad avere una posizione differente rispetto a quella di Barnier.