Italia a confronto con l’Europa: indietro soprattutto su occupazione, istruzione e povertà
Occupazione, istruzione e livelli di povertà sono i punti più dolenti (ma non i soli) dell’Italia rispetto al resto d’Europa. E’ questa la fotografia che è stata scattata dall’Istat nel rapporto “Sessant’anni di Europa”, diffuso oggi in occasione delle celebrazioni della Giornata della statistica. Lo studio mette a confronto l’Italia con i sei paesi fondatori (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi) e con l’Unione europea su quattro diversi temi: economia, lavoro, popolazione e società, facendo emergere un quadro dalle tinte fosche.
Economia: il peso dell’agricoltura è crollato a vantaggio dei servizi
La struttura dell’economia negli ultimi 60 anni è cambiata profondamente. Nel 1960 l’agricoltura contribuiva per circa il 10% al valore aggiunto dei paesi fondatori, in Italia per quasi il 15%. Il peso dell’industria era superiore al 40% (37% in Italia) e quello dei servizi pari a poco meno della metà del totale. Nel 2016, il contributo dell’agricoltura si è ridotto all’1,3% (2,1% in Italia) e quello dei servizi è salito fino a rappresentare quasi i tre quarti del totale del valore aggiunto.
Il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo in Italia ha iniziato a crescere già negli anni 70, accelerando nel decennio successivo, in cui si è determinato un progressivo divario rispetto agli altri Paesi fondatori. L’aggiustamento messo in atto nel corso degli anni 90 ha portato a una riduzione del rapporto tra debito e Pil. La crisi ha però indotto un nuovo peggioramento.
Lavoro: obiettivo di occupazione al 75% nel 2020 molto lontano
Nel 2016 il tasso di occupazione in Italia è pari al 57,2% della popolazione in età attiva, un livello inferiore a quello osservato nel complesso dell’Ue e ancor più basso se si considerano i soli sei Paesi fondatori. Il ritardo dell’Italia sul fronte della partecipazione al lavoro non è una novità ma si è accentuata negli anni della crisi toccando livelli mai riscontrati. L’obiettivo di Europa 2020 di un tasso di occupazione al 75% appare molto lontano.
Nel 1963 il tasso di disoccupazione in Italia era al 4%: un minimo storico comunque superiore a quello del gruppo dei sei fondatori. Tra il 2004 e il 2007 i livelli di disoccupazione erano inferiori al complesso dei fondatori ma il risultato è stato di breve durata. Con la crisi sono infatti riemerse le difficoltà del mercato del lavoro italiano e il tasso di disoccupazione è risalito superando, già nel 2008, l’aggregato dei paesi fondatori e, nel 2012, anche il complesso dell’Ue. Il 2014 è stato l’anno in cui in Italia si è registrato il più elevato livello del tasso di disoccupazione degli ultimi 60 anni.
Popolazione: Italia sempre più vecchia
L’insorgere della crisi nel 2008 si è tradotto in un calo progressivo delle nascite in Italia, ben più marcato che nel resto d’Europa. Questa tendenza, associata al fatto che siamo uno dei paesi a maggiore longevità, ha fatto sì che l’Italia, che negli anni 50 era tra i paesi europei più giovani, invecchiasse di più e più rapidamente. Se nel 1957 la metà della popolazione italiana aveva meno di 31 anni, ora ne ha più di 45.
Un altro importante cambiamento ha riguardato i flussi migratori. L’Italia è stata storicamente un paese d’emigrazione, gli espatri eccedevano gli arrivi fino all’inizio degli anni 70. Dal 1991 l’Italia è diventata un paese d’immigrazione, anche se il fenomeno è rallentato per effetto della grande recessione.
Società: istruzione più bassa delle media europea e povertà più alta
L’Italia presenta tassi di istruzione universitaria molto più bassi della media europea, con una distanza dalla media comunitaria che si è mantenuta attorno ai 10 punti percentuali. Altro aspetto preoccupante riguarda la povertà, che in Italia si attesta su livelli costantemente superiori rispetto ai partner europei, con la crisi del 2008 che ha avuto un effetto molto più intenso: dopo il 2010 il tasso di deprivazione materiale è aumentato di circa 5 punti percentuali e il rischio di povertà o esclusione sociale di circa 3 punti, a fronte di un aumento di 1 solo punto per entrambi gli indicatori negli aggregati europei.