Wall Street cade ancora post crollo, S&P 500 a un passo da bear market. Da Philadelphia scatta alert economia
Wall Street continua a puntare verso il basso, dopo il forte tonfo della vigilia. Ieri il Dow Jones Industrial Average ha chiuso al livello minimo dal marzo del 2021, affondando di 1.164,52 punti, o -3,57%, a 31.490,07. Lo S&P 500 ha sofferto un tonfo del 4,04%, mentre il Nasdaq Composite è precipitato del 4,73%. Per il Dow Jones si è trattato del crollo più forte dal giugno del 2020; stessa cosa per lo S&P 500.
Alle 16 circa ora italiana, il Dow Jones perde 438 punti circa (-1,39%) a 31.051; lo S&P 500 arretra dell’1,06% a 3.880, mentre il Nasdaq scende dello 0,76% a 11.330. Lo S&P 500 ieri ha chiuso a un vazlore in ribasso del 18,6% rispetto al record intraday testato a gennaio e in calo del 18% circa rispetto al massimo di chiusura. L’indice continua a flirtare con la condizione di mercato orso, che si presenterebbe nel momento in cui chiudesse a un valore inferiore del 20% o oltre rispetto ai suoi massimi di sempre. Uno scivolone nel bear market sarebbe il primo dal marzo del 2020, quando in tutto il mondo risuonò l’allarme della pandemia Covid.
“Il trend conferma la narrativa secondo cui…siamo diretti in modo significativo ancora più verso il basso prima di trovare il fondo”, ha detto Scott Minerd, CIO – responsabile investimenti globali – di Guggenheim Partners.
In un’intervista rilasciata a Marketwatch, Minerd ha presentato uno scenario da incubo, che si concretizzerebbe questa estate, e che porterebbe il Nasdaq Composite Index a capitolare a un valore inferiore di ben -75% rispetto al record testato lo scorso 19 novembre del 2021 (al momento, in fase di orso, l’indice è scambiato a un valore inferiore rispetto a quel picco del 28%).
Il calvario della borsa Usa, insomma, almeno per Scott Minerd, sarebbe solo all’inizio, destinato a peggiorare e seguendo una dinamica “molto simile a quella del collasso della bolla Internet”, dunque a quella dello scoppio della bolla speculativa sui titoli tecnologici che si verificò nel 1999 e all’inizio del 2000.
Non tutti sono così pessimisti: gli analisti di Deutsche Bank hanno annunciato di ritenere che l’indice S&P 500 scenderà fino a quota 3.650, soffrendo un calo del 24% a causa del rallentamento dell’economia. Tuttavia, secondo gli analisti della banca numero uno in Germania, il mercato del lavoro Usa non sarà particolarmente intaccato dalla crisi, rimanendo solido.
Di conseguenza, a loro avviso, l’indice S&P 500 segnerà poi una ripresa che lo riporterà verso 4.700 / 4.800 alla fine dell’anno dagli attuali 3.923.
Ma in Usa sarà recessione o no? Anche qui le vedute sono diverse.
Nelle ultime ore gli analisti di JPMorgan hanno annunciato di aver rivisto al ribasso le stime sulla crescita del Pil Usa relative al secondo semestre del 2022 e al 2023. La divisione di ricerca economica del colosso bancario americano prevede ora un’espansione del Pil, nel secondo semestre del 2022, pari a +2,4%, rispetto al +3% precedentemente atteso.
Per il primo semestre del 2023 le stime sono state tagliate dal +2,1% al +1,5% e per la seconda metà dell’anno prossimo dal +1,4% al +1%.
Nella nota si legge che JP Morgan prevede praticamente un soft landing per l’economia Usa, ovvero un rallentamento della crescita che dovrebbe far salire gradualmente la disoccupazione nel 2023 e tradursi in una diminuzione della crescita dei salari. (facendo scendere così l’inflazione).
Ma sono tanti altri gli economisti che paventano invece una recessione.
Certo non sono confortanti le notizie che sono arrivate oggi dal fronte macroeconomico.
Nella settimana terminata il 14 maggio scorso, il numero dei lavoratori americani che hanno fatto richiesta per la prima volta per ottenere i sussidi di disoccupazione è salito di 21.000 unità, a 218.000, record degli ultimi quattro mesi. Il dato è stato peggiore dei 200.000 attesi. La media mobile a quattro settimane si è attestata a 192.750, più delle 188.500 previste dal consensus. La solidità del mercato del lavoro non viene tuttavia messa in discussione, almeno nel breve. Molto più preoccupante il trend dell’indice Philly Fed, l’indice che monitora le condizioni dell’area manifatturiera di Philadelphia. L’indice è affondato a maggio a 2,6 punti, rispetto ai 17,6 di aprile, molto al di sotto dei 16 punti attesi, al valore più basso dal maggio del 2020.
Tra i titoli si mette in evidenza Tesla, che in premercato arretra più del 2% dopo la notizia che ha provocato l’ira del fondatore e ceo Elon Musk (tra l’altro in polemica con i vertici di Twitter, la piattaforma di microblogging su cui ha presentato una offerta di acquisizione da $44 miliardi).
Tesla è stata tagliata fuori dall’indice S&P 500 ESG Index a causa di problemi di varia natura, tra cui le denunce di discriminazione razziale e gli incidenti legati ai suoi veicoli con pilota automatico.
Lo S&P 500 Esg Index è un paniere di azioni che replica l’indice principale di Wall Street rigurdo ai settori industriali, ma selezionando le società più in linea con i criteri ambientali, sociali e di governance (Esg) generalmente riconosciuti sul mercato.
Non si è fatta attendere la risposta di Musk, che ha risposto con duri tweet, tra cui quello secondo cui “l’ESG è una truffa”. Tesla viaggia ai nuovi minimi del 2022 (-41% YTD). Il titolo scende dell’1,80% circa.