Wall Street in rialzo alla vigilia della Fed. Paura stretta 75 pb ma tassi Treasuries si sfiammano
Wall Street in ripresa dopo i forti tonfi delle ultime sessioni: alle 16 circa ora italiana, il Dow Jones sale dello 0,45% a quota 30.652 punti circa, lo S&P 500 avanza dello 0,68% a 3.775 punti, mentre il Nasdaq mette a segno un rialzo dello 0,81% a 10.900 punto.
In attesa della Fed pende, come una spada di Damocle, il rischio che la banca centrale guidata da Jerome Powell, al termine della riunione di politica monetaria del Fomc, che inizia oggi, annunci un maxi rialzo dei tassi di 75 punti base.
Secondo alcune indiscrezioni il presidente Jerome Powell & Co starebbero valutando l’opzione di una stretta di 75 pb, dopo la pubblicazione, venerdì scorso, dell’indice dei prezzi al consumo, che ha dimostrato come l’inflazione non abbia ancora toccato il picco.
Di fatto, nel mese di maggio l’inflazione misurata dall’indice dei prezzi al consumo è salita dell’8,6%, su base annua, rispetto al +8,3% di aprile e oltre il +8,3% stimato dal consensus. Sempre su base annua, l’inflazione core ha invece rallentato il passo, crescendo su base annua del 6%, contro il +6,2% precedente ma oltre il +5,9% atteso.
Su base mensile, l’indice dei prezzi al consumo CPI Usa è cresciuto dell’1%, decisamente oltre il +0,3% del mese precedente e oltre il +0,7% previsto. L’inflazione core è avanzata dello 0,6%, oltre il +0,5% atteso e allo stesso ritmo del mese di aprile. Il trend dimostra che in alcuni casi si è verificata una accelerazione, e non un indebolimento, delle pressioni inflazionistiche.
Oggi è stata resa nota l’inflazione misurata dall’indice dei prezzi alla produzione, sempre di maggio, rimasta nei pressi dei massimi di sempre.
L’indice dei prezzi è scattato di fatto del 10,8% su base annua, a un ritmo lievemente inferiore rispetto al +10,9% atteso dal consensus degli analisti, e dopo il rialzo dell’11% precedente. Su base mensile l’inflazione PPI è avanzata dello 0,8%, come da attese.
Esclusi i prezzi dei beni energetici e alimentari e anche la componente del commercio l’inflazione core è aumentata su base annua del 6,8%, come ad aprile.
Su base mensile il trend è stato di un aumento dello 0,5%, lievemente inferiore rispetto al +0,6% atteso ma in crescita rispetto al +0,4% del mese precedente. Anche questo dato ha confermato che l’inflazione non ha toccato il picco.
Detto questo, si smorza la fiammata dei tassi dei Treasuries, che ieri ha portato i decennali a riportare il balzo più forte dal 2020, fino al 3,39%.
I rendimenti decennali si sfiammano attorno al 3,312%, mentre i tassi dei Treasuries a due anni sono piatti attorno al 3,276%. La curva dei rendimenti Usa torna così alla normalità dopo l’inversione della vigilia, che ha visto i tassi a due anni superare quelli a 10 anni. Il fenomeno dell’inversione della curva dei rendimenti viene spesso considerato segnale dell’arrivo di una recessione, che è quello che i mercati stanno scontando.
Il timore, infatti, è che la Fed sia costretta ad alzare i tassi per battere l’inflazione fino a strangolare l’economia, scatenando un hard landing.
Lo S&P 500 riparte oggi dalla condizione di mercato orso (bear market) in cui è ripiombato, in quanto a un valore inferiore di oltre il 20% rispetto al record testato a gennaio.
Ieri l’indice benchmark è crollato di quasi – 4% a 3.749,63 punti. Molto male anche gli altri indici azionari Usa: il Dow Jones ha terminato la sessione della vigilia scivolando di 876,05 punti (o del 2,79%), a 30.516,74 punti; il Nasdaq Composite ha fatto peggio, capitolando del 4,68% a 10.809,23 punti. Hanno pesato le indiscrezioni secondo cui la Fed potrebbe considerare l’opzione di alzare i tassi di 75 punti base, in vista dell’annuncio di domani, atteso dopo la riunione di due giorni del braccio di politica monetaria, il Fomc.
Ma si sta avvicinando pericolosamente al mercato orso anche il Dow Jones, sceso ieri a un valore inferiore del 17% rispetto ai precedenti massimi, mentre è da tempo che il Nasdaq Composite è in bear market, oscillando a un valore inferiore di oltre -33% dal record toccato nel novembre del 2021.
Tra i titoli, bene Oracle, in rally del 9% circa, dopo che il colosso software Usa, la cui divisione di infrastrutture cloud compete contro i servizi di Amazon Web Services e Microsoft Azure, ha pubblicato una trimestrale migliore delle attese. Proprio il business cloud ha contribuito al rialzo del fatturato.
Male invece il titolo Coinbase, in flessione del 3,4% circa, dopo l’annuncio della piattaforma americana di trading di criptovalute, relativo alla decisione di tagliare il 18% della propria forza lavoro full-time. E’ quanto emerge da una email inviata ai dipendenti, riportata dal sito della Cnbc.
Nella missiva il ceo Brian Armstrong ha fatto riferimento al rischio di una recessione, alla necessità di gestire i costi e al fatto di essere cresciuti “troppo velocemente” durante il mercato toro:
Il titolo Coinbase ha continuato a collassare dall’Ipo lanciata nell’aprile del 2021, sulla scia della forte emorragia che sta mettendo in ginocchio il crypto universo, soprattutto nelle ultime sessioni.
Le quotazioni della piattaforma di trading crypto hanno perso
il 79% dall’inizio dell’anno e l’85% dal record assoluto. Il Bitcoin è invece capitolato nelle ultime ore anche sotto la soglia di 20.000 dollari, ed è in perdita del 53% da inizio anno. La criptovaluta numero uno al mondo ha ceduto nelle ultime ore il 17%, crollando ai valori minimi dal dicembre del 2020.