Banco BPM affonda a Piazza Affari. Altro che più dote fiscale, nella manovra Draghi l’amara sorpresa sulle DTA
Il governo Draghi conferma con la legge di bilancio del 2022 la dote fiscale pro-M&A per le banche e le imprese italiane, con tanto di plafond da 500 milioni, ma la banca considerata a questo punto la preda più probabile di UniCredit, ovvero Banco BPM, collassa in Borsa, insieme a Bper, altro istituto candidato da tempo al risiko delle banche del made in Italy.
Cosa succede? Il titolo Banco BPM si conferma il peggiore dell’indice Ftse Mib con un calo che, alle 12 circa ora italiana, supera il 6%. All’indomani della pubblicazione della trimestrale, che ha battuto le stime degli analisti su tutti i fronti il titolo UniCredit segna appena un lieve ribasso, mentre Mps scende di mezzo punto percentuale.
I titoli bancari non beneficiano della notizia, confermata ieri dallo stesso ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco, della proroga dell’agevolazione fiscale – o dote fiscale, regalo di Stato, tesoretto di Stato – inizialmente varata un anno fa circa, con la manovra 2021 del Conte bis e ora rivisitata nella legge di bilancio per il 2022: nel testo della prima manovra di Draghi, si legge infattu che “la possibilità di trasformare le Deferred Tax Assets (DTA) in crediti di imposta viene estesa fino al 30 giugno 2022, con la medesima percentuale e un tetto massimo per singola operazione”. Dunque, le agevolazioni fiscali sono state prorogate: e questa è una buona notizia. Accanto a questa c’è però una cattiva notizia.
La novità risiede nella presenza di un plafond, pari a 500 milioni di euro, che in precedenza non era contemplato.
Nel testo si fa riferimento di fatto a un tetto massimo fissato sugli incentivi, che non può essere superiore “al minore importo tra 500 milioni di euro e il 2% della somma delle attività dei soggetti partecipanti alla fusione”.
Dote fiscale DTA prorogata, ma spunta un tetto massimo
In questo contesto Banco BPM è particolarmente penalizzata, come emerge chiaramente dalla nota odierna degli analisti di Equita SIM:
“La determinazione di un cap come massimo beneficio derivante dalla conversione delle DTA in caso di M&A riduce a nostro avviso l’appeal speculativo sul consolidamento del settore bancario e in particolare su un possibile deal tra Banco BPM e UniCredit (secondo la norma attuale stimiamo un beneficio di 2,7 miliardi). Al contrario non cambierebbero in maniera rilevante le probabilità di M&A tra Banco BPM e Bper dato un beneficio a capitale da conversione DTA significativamente inferiore (ad oggi 900mn circa)”
Della questione ha parlato anche un articolo di La Repubblica, facendo riferimento anche alle dichiarazioni che sono state rilasciate da Andrea Orcel, AD di UniCredit, nella conference call di ieri, seguita alla diffusione del bilancio del terzo trimestre e dei primi nove mesi del 2021.
Orcel ha affrontato subito la questione del flop delle trattative con il Tesoro su Mps, sottolineando che la finestra su Mps è ormai chiusa .
L’AD ha colto l’occasione anche per ribadire la propria opinione sull’M&A, affermando che non è qualcosa “di fine a se stesso, ma un acceleratore”. La condizione sine qua per una operazione di fusione, praticamente, è che venga realizzata alle “giuste condizioni che accrescano il valore”: altrimenti, meglio lasciar stare.
A tal proposito, intervistato da La Repubblica Guido Pardini, co-direttore generale di Intermonte, si è così espresso: “Orcel è stato giustamente abbottonato sul tema dell’M&A ma credo sia inevitabile che guardi ad acquisizioni e la soluzione migliore in Italia è il Banco Bpm: non può restare confinato al quarto posto in Lombardia, l’area più ricca del paese”.
Il problema, ha fatto notare il quotidiano sfoderando proprio la questione delle DTA, è che “certo però il quadro normativo ora si preannuncia meno benevolo: nella bozza della legge di Bilancio le misure sulla trasformazione delle Dta in crediti di imposta sono state prorogate al primo semestre 2022 ma è stato introdotto un tetto massimo di 500 milioni, che prima non era previsto. Una misura che limita la convenienza in caso di fusioni: i valori assoluti cambiano rispetto alle grandezze delle banche coinvolte, ma fino a questo momento si parlava di una “dote” di circa 2 miliardi per Mps, di 3 miliardi per Banco Bpm, di 400 milioni per Carige e di 136 miloni per la Popolare di Sondrio. A quanto sembra di capire, a questo punto saranno incentivate solo le operazioni con banche di dimensioni più ridotte”.
Dello stesso avviso gli analisti di Intesa SanPaolo che, nella nota odierna, scrivono che “l’estensione dei benefici sulle DTA con un limite del genere (500 milioni) è negativo per il settore, in quanto riduce in modo significativo l’incentivo per le operazioni di M&A che coinvolgano le banche grandi e di medie dimensioni. Le DTA dedotte dal capitale ammontano a 1 miliardo di euro per Banco BPM, a 3,7 miliardi per Mps, a 4,3 miliardi per UniCredit e a 400 milioni per Carige, altra banca alla ricerca di un partner. In base alla legge attuale, il beneficio è limitato al 2% degli asset totali delle società coinvolte nell’accordo esclusa la società più grande. Di conseguenza, i benefici complessivi potrebbero essere più bassi dei numeri sopra menzionati, a seconda della dimensione delle società che partecipano al deal”.