Mps: aumento capitale chiude con ‘successo’. Ma le banche garanti mollano subito il Monte
Mps conclude con successo l’aumento di capitale da 2,5 miliardi, dopo la chiamata alle armi del Tesoro verso banche, fondazioni e casse di previdenza, e i 125 milioni pagati dalla banca senese per convincere i garanti a sottoscrivere l’inoptato. E tuttavia, a dispetto del successo, nel giorno in cui i risultati del rafforzamento patrimoniale vengono resi noti – venerdì 4 novembre – certificando la buona riuscita dell’operazione, il titolo Monte Paschi di Siena apre a Piazza Affari con un tonfo del 7%, per poi finire in asta di volatilità, sospeso al ribasso con un tonfo pari a -14%, che diventa di oltre il 19% nel momento in cui le azioni crollano fino a 1,5 euro, valore decisamente inferiore ai 2 euro delle nuove azioni emesse con la ricapitalizzazione. Per le azioni del Monte la seduta si conclude con un tonfo dell’11,96% a 1,62 euro.
Lo stesso giorno, in occasione della pubblicazione dei conti del terzo trimestre della banca da lui gestita, il ceo di Intesa SanPaolo Carlo Messina rifiuta l’ipotesi di un’M&A con la banca senese: “Sono favorevole alla presenza di più competitor sul mercato. Sulle prospettive di MPS non conosco i numeri, ma certamente non è una operazione che può riguardare Intesa Sanpaolo”, dice convinto Messina, dopo aver sottolineato che “il paese non può avere punti di debolezza” e che “Banca Monte dei Paschi di Siena è una storia del nostro paese che deve essere risolta”. L’aumento di capitale di Mps? Per l’amministratore delegato di Intesa SanPaolo “è un fattore strategico” e la valutazione non può che essere positiva.
“Peraltro – aggiunge Messina – il rialzo dei tassi favorirà anche MPS nella generazione di utili futuri e nel recupero della redditività, mentre presumo che in passato abbiano avuto un impatto negativi dai tassi bassi”.
Insomma, è fatta: Mps raccoglie quei nuovi mezzi freschi di cui ha bisogno, 2,5 miliardi di euro, in quello che si conferma il settimo aumento di capitale in 15 anni, 14 per l’esattezza. Di questa somma, molta sarà impiegata in primis per finanziare le uscite volontarie dei dipendenti, che hanno optato per un vero e proprio maxi esodo dalla banca: rispetto ai 3.500 dipendenti stimati in precedenza, i dipendenti del Monte che vogliono darsi alla fuga sono 4.125, di cui 4.005 per il gruppo Mps e 120 come distaccati extra gruppo.
Mps: i nuovi soci post aumento di capitale
Ma qual è la nuova compagine azionaria del Monte dei Paschi post ricapitalizzazione?
In pole position come primo azionista rimane il Tesoro-Mef, con una quota del 64% circa del capitale; il secondo azionista è il partner commerciale assicurativo del Monte, la società francese Axa che, con una iniezione di 200 milioni di euro, deterrà l’8% della nuova Mps.
Pimco, il fondo obbligazionario Usa che ha versato soldi di tasca propria in quanto detentore di obbligazioni subordinate a rischio di burden sharing (ipotesi paventata tra l’altro, dalla stessa Bce), sarà azionista con una partecipazione del 3% circa, così come sarà del 3% la quota in mano alle tante fondazioni che hanno risposto all’appello di sottoscrizione del Tesoro.
Tra queste, le fondazioni Cr Firenze, Mps, Lucca, Pistoia e Pescia, Cariplo e Compagnia SanPaolo. In particolare, la Fondazione Mps ha comunicato che la sua partecipazione in Mps è salita dallo 0,003% allo 0,40% circa del capitale sociale dopo l’aumento di capitale.
Azionista anche Anima, con una partecipazione dell’1% a fronte dei 25 milioni iniettati.
Ci sono poi le banche del consorzio di garanzia che si sono accollate un inoptato, ovvero azioni non sottoscritte, per 93 milioni di euro circa, diventando azioniste del Monte (ma per quanto?). Si fanno tra i nomi dei nuovi azionisti anche quelli di Mediolanum e dell’Ion Group di Andrea Pignataro, così come quelli di Nexi, Tenax e le casse di previdenza Inarcassa ed Enpam.
Mps: fuga banche consorzio garanzia dopo maxi-commissione?
Detto questo, l’azionariato del Monte è tutto fuorché solido. E lo dimostra il fatto che, a far capitolare il titolo nella sessione di venerdì scorso, sembra essere stata la decisione di alcune tra le stesse banche garanti a darsela a gambe levate, dopo aver incassato la maxi commissione da 125 milioni di euro.
Così si legge in un articolo de La Nazione:
“Incassata la maxi commissione di 125 milioni di euro per garantire meno di 900 milioni di potenziale inoptato, tra le otto banche garanti dell’aumento di Mps (Mediobanca, Citi, Credit Suisse, Bofa, Barclays, Santander, Stifel, Socgen) è scattato il liberi tutti. Alcuni degli istituti che non hanno perso tempo e hanno riversato sul mercato a valori di poco superiori agli 1,6 euro le azioni che fino a ieri cercavano di far sottoscrivere a 2 euro. L’afflusso di una gran quantità di carta a fronte di un flottante risicato ha contribuito a far sprofondare le quotazioni del Monte, che ha chiuso con un tonfo del 12%, a 1,62 euro, mentre il Ftse Mib balzava del 2,5%”. L’articolo ha precisato comunque che “sembrerebbe che Piazzetta Cuccia (Mediobanca) e l’asset manager Algebris abbiano tenuto le azioni, aspettando tempi migliori”.
Mps: l’avvertimento della Bce e il flop di Stato con UniCredit di Orcel
Rimane sullo sfondo l’avvertimento che la stessa Vigilanza Bce aveva lanciato ai nastri di partenza dell’aumento di capitale Mps, lo scorso 17 ottobre. Così nel nel prospetto informativo redatto dal Monte relativo alla ricapitalizzazione:
“Nel contesto della Draft SREP Decision 2022, la BCE ha evidenziato punti di attenzione che potrebbero limitare la capacità di Mps di raggiungere completamente gli obiettivi del Piano Industriale 2022-2026 nel medio termine con riferimento a: il persistere di tensioni sullo spread BTP-Bund e della volatilità dei mercati con potenziali ricadute negative sul costo della raccolta; la dinamica attesa delle commissioni che, sebbene considerata ragionevole, dipende dal successo delle iniziative commerciali programmate ed è esposta alla pressione competitiva; la riduzione dei costi del personale basata su una manovra di esodi del personale esposta al rischio di minori adesioni rispetto a quelle programmate; l’incremento dei tassi di interesse e uno scenario meno favorevole del Pil che possono influenzare negativamente la capacità di rimborso dei debitori; l’andamento reclami e cause legali che non è nel pieno controllo di BMPS, come pure la capacità di prevenire l’insorgere di ulteriore contenzioso. Nel predetto documento la Bce ha altresì evidenziato che gli ulteriori risparmi di costi per Euro 40 milioni a partire dal 2024 dovuti alla chiusura delle filiali, alla riorganizzazione societaria del Gruppo e agli investimenti IT in digitalizzazione potrebbero essere compensati da livelli inflattivi connessi al nuovo scenario macroeconomico che potrebbero essere più alti del previsto e potrebbero non essere limitati ai servizi di pubblica utilità, riducendo anche i risparmi derivanti dagli stessi investimenti in Digitalizzazione”.
Insomma, è prematuro dire che Mps abbia vinto la partita.
Tanto meno l’hanno vinta i contribuenti, che hanno dovuto pagare di tasca propria la ricapitalizzazione della banca senese, per l’ennesima volta.
Questo, in vista dell’obiettivo di una privatizzazione del Monte con l’uscita definitiva dello Stato maggiore azionista dal suo capitale, che si è già confermata una sorta di Mission Impossible in passato, per l’assenza di potenziali cavalieri bianchi pronti a rilevare il Monte.
La breve parentesi delle trattative con UniCredit di Andrea Orcel – e quella maxi cifra che avrebbe chiesto nonostante la promessa di un lauto regalo di Stato -si è conclusa con un flop altrettanto di Stato. Mps ha pagato -e rischia di continuare a pagare – l’abbraccio tossico con la politica e quella reputazione indelebile di banca che ha bruciato miliardi euro tra Antonveneta, crisi Lehman, crisi spread, regole Ue e NPL.
Per dirla con le parole che aveva proferito lo stesso Orcel, la verità è che su Monte dei Paschi di Siena onnipresente è il timore che ceda a logiche più politiche che di mercato. E questo non sarà mai un bel biglietto da visita .