Banche centrali fanno incetta d’oro: ecco perchè
Il 2022 passerà alla storia per l’impennata della domanda di oro.
Secondo il World Gold Council, dati alla mano, l’anno scorso la domanda annuale di oro è aumentata del 18%, raggiungendo le 4.741 tonnellate.
Questo forte aumento è stato alimentato sia da un notevole incremento delle monete e dei lingotti (gli acquirenti al dettaglio hanno iniziato a pensare come i banchieri centrali) e che dal settore ufficiale (banche centrali e fondi sovrani) che ha acquistato 1.135 tonnellate – la quantità maggiore di acquisti ufficiali delle banche centrali dal 1967.
Ma perché questa maggiore attenzione per il metallo prezioso?
A spiegarne le ragioni Ned Naylor-Leyland, investment manager, Gold & Silver di Jupiter Asset Management, secondo cui le banche centrali dei mercati emergenti sono state responsabili della maggior parte degli acquisti nel 2022, nello specifico parliamo di Egitto, Qatar, Iraq, Emirati Arabi Uniti, Turchia e India.
“Il quarto trimestre ha visto anche il ritorno della Cina, la seconda economia mondiale, come partecipante attivo al mercato, con l’aggiunta di 31 tonnellate a novembre e 32 tonnellate a dicembre, continuando così a ridurre la sua dipendenza dal dollaro”.
L’oro e l’argento, aggiunge l’esperto, sono considerati beni rifugio e l'”Oro monetario” è la vera forma di riserve bancarie centrali prive di rischio, come descritto dalla piramide di Exter.
“L’oro è denaro apolitico e riserva di valore reale, a differenza delle valute fiat stampate dai governi. Crediamo che la volatilità dei mercati e la volatilità geopolitica abbiano spinto le banche centrali ad aumentare le loro riserve d’oro. Con il persistere dell’inflazione, molte banche centrali stanno accumulando il loro patrimonio in oro piuttosto che in contanti”.
“È chiaro – ha continuato l’ investment manager, Gold & Silver di Jupiter Asset Management – che le banche centrali sono ora restie ad accumulare altri dollari e che la battaglia esistenziale per lo status di esente da rischi a livello globale si sta spostando nuovamente sull’oro, come concordato a Bretton Woods nel 1944″.
Tra l’altro “l’oro (detenuto in patria piuttosto che presso la BoE o la NYFed) non comporta alcun rischio di controparte – un fattore importante quando le attività denominate in dollari possono essere congelate, e recentemente lo sono state –aggiunge l’esperto.
In questo contesto, Ned Naylor-Leyland ha fatto notare infine che, “anche con gli acquisti record che stiamo vedendo da parte del settore ufficiale, i portafogli d’investimento globali rimangono poco allocati o del tutto privi di allocazione nella moneta sana storica – una dinamica che, a nostro avviso, cambierà una volta che l’oro avrà superato il livello psicologicamente e tecnicamente importante di 2.000/2100 dollari l’oncia”.