Busta paga, altro che aumenti. Lo stipendio è più basso
Il 2023 è l’anno della svolta per i lavoratori dipendenti: grazie al taglio del cuneo fiscale, i lavoratori possono beneficiare di un aumento di stipendio. La busta paga risulterà essere più ricca, ma non per tutti nello stesso modo. I lavoratori, nel corso di questi ultimi mesi, si saranno sicuramente accorti che l’inflazione ha fatto diminuire drasticamente lo stipendio. Il potere d’acquisto cambia, ma non per tutti nello stesso ed identico modo.
Il Centro Studi Tagliacarne ha analizzato la busta paga dei lavoratori su scala provinciale: in 22 province, nel corso degli ultimi tre anni, lo stipendio dei lavoratori è diventato sempre più leggero. Un vero e proprio calo del potere d’acquisto, che ha fatto accendere un preoccupante campanellino d’allarme.
Crollano gli stipendi: dove è avvenuto
In almeno 22 province italiane (su un totale di 107) la busta paga è scesa di 312 euro nell’arco di tre anni. Il periodo preso in considerazione è quello compreso tra il 2019 ed il 2022. L’analisi del Centro Studi Tagliacarne mette in evidenza che il calo dello stipendio di 312 euro e ancora più forte se si considera che, a livello nazionale, è stata registrata una crescita di quasi 301 euro.
Ad essere particolarmente sensibili sono le differenze territoriali. In alcune province la busta paga risulta essere più magra di oltre mille euro: questi pesanti cali sono stati registrati a Venezia, Firenze e Prato. Chi invece ha beneficiato delle crescite migliori sono stati:
- Milano: +1.908 euro;
- Parma: +1.425;
- Savona: +1.282.
I lavoratori dipendenti di Milano risultano essere quelli pagati meglio in Italia. Lo stipendio medio, nel corso del 2021, è stato pari a 30.464 euro, che corrisponde, grosso modo, a due volte e mezzo la media nazionale, che è pari a 12.473 euro. L’importo corrisposto a Milano risulta essere pari a nove volte rispetto quanto percepito dai lavoratori dipendenti di Rieti, che è, a tutti gli effetti, il fanalino di cosa nella classifica retributiva. È necessario sottolineare, comunque, che nel capoluogo lombardo il reddito da lavoro dipendente costituisce oltre il 90% del reddito disponibile, mentre a Rieti si ferma al 23,0% e il 63,1% della media nazionale.
L’analisi dimostra che la geografia delle retribuzioni è diversificata territorialmente, e sotto vari aspetti non rispetta la tradizionale dicotomia Nord-Sud – spiega Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro Studi Tagliacarne -. Se confrontiamo la graduatoria del pil pro capite (che misura la produzione della ricchezza) con quella delle retribuzioni, vediamo che nel primo caso praticamente tutte le ultime trenta posizioni sono appannaggio di province meridionali (con la sola eccezione di Rieti), mentre in quella delle retribuzioni pro-capite troviamo ben 10 province del Centro-Nord, il che induce a riflettere sulle politiche dei redditi a livello locale.
Gli incrementi nelle altre province
Milano, senza dubbio, rappresenta la prima provincia italiana per il valore pro capite dei salari. A presentare i maggiori aumenti sono state invece:
- Savona: +14,3%;
- Oristano: +11,8%;
- Sud Sardegna: +11,2%.
Nel periodo compreso tra il 2019 ed il 2021, il peso in termini pro-capite del reddito da lavoro sul totale del reddito disponibile ha continuato a rimanere stabile, attestandosi intorno al 63%. In 42 province sulle complessive 107 – delle quali sei sono del Mezzogiorno – è aumentato, arrivando al 69,7% del 2021 contro il 68,7% del 2019. Complessivamente, l’incidenza delle retribuzioni sulle entrate disponibili si rileva più marcata nelle città metropolitane (71,3%) meno nelle province (57,6%). Ai due estremi di questa forbice, come abbiamo visto, si trovano Rieti con il 23,9% e Milano con il 90,7%. Tanto che, se stilassimo una classifica del reddito disponibile al netto del reddito da lavoro dipendente, il capoluogo lombardo precipiterebbe all’ultimo posto in classifica con appena 3.131 euro a testa.