Borse asiatiche in calo dopo trauma Wall Street, Tokyo in lieve calo dopo intervento Ueda (BoJ) al Parlamento
Futures incerti e borse asiatiche negative dopo che Wall Street ha concluso la settimana peggiore dell’anno. L’indice Nikkei 225 della borsa di Tokyo ha perso lo 0,11%, a quota 27.423,96 punti; Sidney in ribasso dell’1,12%, Seoul in calo di oltre l’1%, Hong Kong -0,70%, Shanghai in flessione dello 0,24%.
Il Dow Jones Industrial Average è sceso venerdì scorso di 336 punti, o dell’1%, dopo aver ceduto nel corso della sessione fino a -510 punti (-1,54%); lo S&P 500 e il Nasdaq Composite hanno perso rispettivamente l’1% e l’1,7%.
I sell off si sono abbattuti sulla borsa Usa dopo la diffusione del dato relativo all’inflazione degli Stati Uniti misurata dal parametro preferito dalla Fed, la banca centrale americana, ovvero dal PCE core.
Il dato, contenuto nel rapporto relativo alle spese per consumi e ai redditi personali, ha accelerato il passo nel mese di gennaio, salendo su base annua del 4,7%, più della crescita di dicembre pari a +4,6% (rivista al rialzo dal precedente +4,4% annunciato), e ben oltre le attese degli analisti, che avevano previsto un rallentamento al ritmo del 4,3%.
Su base mensile, l’inflazione misurata dall’indice PCE core è aumentata dello 0,6%, rispetto al +0,4% stimato, in accelerazione rispetto al +0,4% di dicembre (dato rivisto al rialzo al +0,3% precedentemente comunicato).
Non solo la componente core, ma anche il PCE headline si è ulteriormente rafforzato, dalla crescita su base annua del 5,3% di dicembre al +5,4% di gennaio.
Il dato ha praticamente avallato e rafforzato i timori di una Fed ancora più falco sui tassi, nella sua incessante lotta contro l’inflazione.
Gli investitori continuano a focalizzare tra l’altro la loro attenzione sulle minute della Fed che sono state pubblicate la scorsa settimana, relative all’ultima riunione del Fomc del 31 gennaio-1° febbraio, che si è conclusa con l’annuncio di un rialzo dei tassi di interesse Usa di 25 punti base, al range compreso tra il 4,5% e il 4,75%, record dall’ottobre del 2007.
Dalle minute è emerso che i rischi sull’inflazione, negli Stati Uniti, sono ancora in rialzo, sia per le conseguenze del reopening dell’economia cinese che per la guerra in Ucraina, e che alcuni esponenti del Fomc, nell’ultima riunione, avevano espresso il desiderio di alzare i tassi non di 25 punti base, ma di 50 punti base.
Rimanendo in tema banche centrali, protagonista oggi in Giappone l’intervento alla Camera alta del Parlamento di Kazuo Ueda, l’economista nominato dal premier Fumio Kishida alla carica di governatore della Bank of Japan BoJ, al posto dell’attuale presidente uscente Haruhiko Kuroda, vicino alla scadenza del mandato (ad aprile).
“Il trend dell’inflazione deve rafforzarsi in modo significativo, affinché la politica monetaria della Bank of Japan diventi restrittiva”, ha detto Ueda, aggiungendo che, “da sola, la politica monetaria non può alzare i prezzi immediatamente”.
In questo modo Kazuo Ueda ha praticamente scagionato la politica monetaria estremamente accomodante della Bank of Japan dall’accusa di aver contribuito in primis alle recenti fiammate dell’inflazione in Giappone.
“Quello che la Bank of Japan farà esattamente dipenderà dagli sviluppi futuri dell’economia”, ha sottolineato ancora Ueda, avendo cura di ricordare che “la crescita dell’inflazione del Giappone misurata dall’indice dei prezzi al consumo rallenterà al di sotto del 2% nell’anno fiscale 2023. Ci vuole tempo affinché l’inflazione centri il target del 2% in modo sostenibile e stabile”.