Banche in crisi: di cosa devono avere paura i correntisti italiani
Banche in crisi: quali rischi per i correntisti?
In Italia le banche stanno registrando utili da record, anche se sono, a tutti gli effetti, appesantite dal rischio Btp.
Cosa significa tutto questo? Ci sono rischi per i correntisti?
No, per il momento sembra che non ci siano particolari problemi per i titolari di un conto corrente: a dimostrarlo è l’ingente raccolta di capitali.
E, soprattutto, una scarsa predisposizione, da parte dei risparmiatori italiani, ad effettuare degli investimenti conservativi.
Banche italiane: un 2022 da record
Il 2022 per le banche italiane, senza dubbio, si è dimostrato essere un anno da record.
Gli utili sono stati in crescita, grazie al continuo rialzo dei tassi e a seguito di una cura precisa e dettagliata, che ha portato i principali istituti di credit a togliersi del fardello dei vari bad credit, ossia i crediti tossici.
Questo vero e proprio paradiso, però, ha iniziato a scricchiolare nell’arco di pochi giorni.
Alcuni esperti hanno iniziato a lanciare alcuni campanelli d’allarme: ma quanto c’è di vero in questi allarmi, che in alcune occasioni rischiano di essere cialtroneschi?
A cosa devono stare attenti, in realtà, i risparmiatori italiani e i titolari di un conto corrente?
Si corrono realmente dei rischi?
Silicon Valley Bank, lo scorso 10 marzo 2023, è crollata: è scattata immediatamente la paura di un contagio.
Un timore che si è allargato immediatamente anche in Europa, dove sono state registrate perdite del 7,11% sullo Stoxx, l’indice di riferimento dei titoli europei.
I timori e le paure stavano ancora condizionando la mente e la visione degli investitori quando il Credit Suisse, la seconda banca svizzera, ha contribuito ad alimentare la tensione con delle voci di un imminente tracollo.
La Banca Nazionale Svizzera è intervenuta immediatamente, assumendo il ruolo del pompiere e provvedendo a versare la liquidità necessaria per placare gli animi del mercato.
Quanto è successo a Silicon Valey Bank e i problemi di Credit Suisse sono due problemi diversi, per quanto, in un certo senso siano correlati l’uno all’altro. Ma non hanno nulla a che vedere con le banche italiane.
La crisi degli istituti di credito
I risparmiatori e i correntisti italiani si devono preoccupare?
Le banche italiane non hanno nulla a che vedere con il capitale a rischio nelle startup, settore del quale si occupava principalmente Silicon Valley Bank, e non hanno nulla a che vedere con Credit Suisse.
Le previsioni sembrano indicare, invece, che il 2023 possa costituire un anno di crescita per le banche italiane:
la redditività è in rialzo e il costo della raccolta fondi è irrisorio.
Questo, però, non sembra essere bastato a non far saltare i nervi agli investitori, tanto che l’indice FTSE Italia banche ha lasciato sul terreno il 17% nell’arco di poche sedute.
L’andamento al ribasso è stato registrato anche sull’Euro Stoxx 600, che ha perso il 16%. A Wall Street il sottoindice relativo alle banche americane ha perso il 21%.
In questo caso gli investitori si sono accorti che il comparto bancario stava sovraperformando: hanno deciso, quindi, di vendere finché la situazione era favorevole.
Sono poi entrate in gioco le logiche dei Btp, che sono strettamente collegate con le politiche economiche della Banca Centrale Europea.
Ogni volta che i tassi vengono alzati altrettanto fanno i rendimenti, ma il loro valore si deprezza.
Silicon Valley Bank ha sbagliato a cedere i Buoni del Tesoro americano per alimentare le richieste di prelievo dei fondi dei propri clienti.
Le banche europee, invece, sono sottoposte ad una norma che prevede che devono avere una liquidità tale da coprire le necessità di cassa per almeno trenta giorni in uno scenario critico:
in Italia i principali istituti di credito arrivano a 45 giorni e in alcuni casi superano i 60 giorni.
L’Unione europea vigila molto sulle banche e questo ha un riflesso positivo per i correntisti.