In Italia si lavora troppo. C’è chi punta sulla settimana corta
Gli italiani lavorano fin troppo. Opzione settimana corta: a che punto siamo?
In queste settimane è tornato alla ribalta il tema della settimana corta. “Lavorare meno, lavorare tutti”: era uno slogan di moda sul finire degli anni sessanta. Sono passati più di cinquant’anni da quel sogno.
Oggi si torna a parlarne: ma stare al lavoro solo quattro giorni a settimana, con lo stesso stipendio è un sogno per molti. Forse per quasi tutti i lavoratori. Ed una realtà per pochi, troppo pochi.
In Italia, fino ad oggi, sono solo due i gruppi (Lavazza ed Intesa Sanpaolo) che stanno sperimentando nuove soluzioni lavorative, nate anche a seguito della pandemia.
Nuove strade dettate dalla necessità di una maggiore protezione e di un maggiore risparmio energetico, esigenza trapelata all’indomani dell’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia.
La settimana corta è stata sperimentata in Gran Bretagna, dove un recente rapporto stilato dal governo ha dato il via ad un dibattito particolarmente acceso.
La maggior parte delle aziende, che hanno partecipato ad una sperimentazione sulla settimana corta (complessivamente una sessantina di soggetti), ha deciso di voler proseguire.
In diciotto casi l’esperimento è diventato una pratica permanente.
Settimana corta, cosa succede in Italia
In Italia sono due i gruppi che stanno riorganizzando il proprio sistema lavorativo, introducendo la settimana corta.
Intesa Sanpaolo ha introdotto un nuovo modello per i propri 74.000 dipendenti.
Tra le novità introdotte vi è proprio la settimana corta, costituita da quattro giornate lavorative da nove ore ciascuna (complessivamente sono 36 ore).
La retribuzione continua ad essere la stessa.
I dipendenti possono accedere alla settimana corta su base volontaria e compatibilmente con le esigenze tecniche e produttive.
Anche Lavazza, già nel 2022, ha introdotto la settimana corta.
Andando a vedere cosa sta succedendo in Europa, sembrerebbe emergere una tendenza opposta rispetto a quanto abbiamo visto fino a questo momento.
Gli ultimi dati Eurostat – aggiornati al 2022 – hanno messo in evidenza che in Italia 2 milioni di lavoratori rimangono sul posto di lavoro 50 ore ogni settimana, contro le canoniche 40 ore (ossia 8 ore al giorno spalmate per cinque giornate).
Stiamo parlando del 9,4% dei lavori totali, i quali, complessivamente, sono grosso modo 23 milioni.
Il fenomeno coinvolge principalmente più i lavoratori autonomi (30%) che gli impiegati (4%).
Il dato italiano, comunque, risulta essere tra i più alti d’Europa: siamo battuti unicamente dalla Francia (10,2%) e dalla Grecia, che è in testa alla classifica con il suo 12,6%.
Se andiamo a vedere cosa succede in Romania, il dato precipita al 2,2%, mentre in Bulgaria scivola allo 0,7%.
Il pressing dei sindacati
Sulla settimana corta, il pressing dei sindacati è forte. Anche le opposizioni fanno sentire la propria voce.
Il Governo ha accennato ad un’apertura sull’argomento, anche se il dibattito, nel corso degli ultimi mesi, si è concentrato un po’ di più sul taglio del cuneo fiscale.
Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, a febbraio aveva affermato di essere “disposto a riflettere partendo dalla realtà. Tutto va messo in sintonia con una saggia politica industriale con l’obiettivo di aumentare produttività e occupazione“.
Un’apertura era arrivata anche da Confindustria, il cui presidente, Carlo Bonomi, ha affermato che “siamo dispostissimi a sederci e a ragionare, ma non in maniera ideologica, o vanno in crisi l’occupabilità e l’occupazione in Italia”.
I tempi sono maturi per parlarne: a beneficiarne sarebbero principalmente quei due milioni di persone che, in Italia, sul posto di lavoro ci rimangono di più.