Lavoratori italiani sempre più infelici. Aumentano i “job creeper”, ecco chi sono
Il luogo di lavoro è sempre meno un posto dove le persone “stanno bene”. Solo il 9% degli italiani afferma di stare bene nell’impiego attuale considerando le tre dimensioni del benessere: fisico, psicologico e relazionale e oggi appena il 5% è “felice” al lavoro. Questa la fotografia che scatta l’Osservatorio HR Innovation Pratice della School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con BVA Doxa, secondo cui infelicità e malessere portano molti a cambiare lavoro.
Italiani infelice a lavoro: ecco perchè
Una delle principali fonti di malessere resta l’incapacità di gestire vita lavorativa e vita privata: in un anno, raddoppiano i Job Creeper (13% vs. 6%), quelli che non riescono a smettere di lavorare e lo fanno in momenti che dovrebbero dedicare alla propria vita privata, mentre è stabile il numero dei Quiet Quitter (12%), i lavoratori che fanno il minimo indispensabile senza essere coinvolti emotivamente nelle attività che svolgono.
Un lavoratore su tre, dice la ricerca, si è assentato almeno una volta dal lavoro nell’ultimo anno per motivi di stress o ansia, ma solo un’azienda su due offre servizi a supporto. il 42% degli italiani l’ha fatto recentemente o ha intenzione di farlo a breve e nel 2024 per la prima volta il motivo principale è la ricerca di “benessere fisico e mentale” (36%), ma crescono anche la ricerca di opportunità di carriera e di occupabilità nel medio-lungo termine.
Oggi ben l’88% delle organizzazioni italiane fatica ad assumere nuovo personale e, in più della metà dei casi, la difficoltà è cresciuta nell’ultimo anno.
Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è dovuto soprattutto alla carenza di persone con competenze tecniche (57%) e soft (36%), ma anche alla mancata corrispondenza tra quanto offerto dalle aziende e quanto desiderato dalle persone in termini di stipendio, carriera, flessibilità e stile di vita, perché il luogo di lavoro è sempre meno un posto dove le persone “stanno bene”.
Dalla Great Resignation al Great Regreat: come cambia il lavoro
Inoltre, eredità della pandemia, continua anche oggi la “Great Resignation”, ossia le Grandi dimissioni. Non solo, anche il “Great Regreat”: il 56% di chi ha cambiato lavoro negli ultimi 12 mesi si è già pentito, +37% rispetto al 2023.
Infine, dice l’Osservatorio, il 26% dei lavoratori ha già utilizzato soluzioni di AI generativa nell’ultimo anno, anche se pochi in maniera continuativa (solo il 3% ogni giorno e il 7% un paio di volte a settimana) e, a ben vedere, l’attività principale è stata la semplice ricerca di informazioni (31%) come una classica barra di ricerca. Ma l’impatto potenziale è alto: secondo i lavoratori, il 24% delle proprie attività possono essere già svolte con il supporto di soluzioni di AI generativa. E quasi uno su due è preoccupato delle conseguenze, non tanto per il rischio di perdere il lavoro (12%), ma per la possibilità che diventi più precario (26%).