Stretta sulle pensioni anticipate, allo studio finestre d’uscita più lunghe
L’avvicinarsi dei lavori di apertura della Legge di Bilancio 2025 fa tornare prepotentemente alla ribalta il tema delle pensioni e del loro futuro. Il Governo, nel corso dei prossimi mesi, dovrà fare il punto sulle misure attualmente in vigore, ma che con la fine dell’anno sono destinate a chiudersi. A finire sotto la lente d’ingrandimento sono prima di tutto le misure che permettono di andare in pensione anticipatamente, come Quota 103, Ape Sociale ed Opzione donna.
Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di capire cosa potrebbe cambiare il capitolo pensioni.
Pensioni, uno dei capitoli più onerosi per il Governo
Sicuramente una delle voci più onerose per le casse dello Stato che il Governo è chiamato ad affrontare nel corso dei prossimi mesi sono le pensioni. L’esecutivo guidato da Giorgia Meloni dovrà prendere una decisione su alcune misure previdenziali per permettono l’uscita anticipata dal mondo del lavoro. Molte delle quali si chiudono proprio con la fine dell’anno. Le discussioni del governo ruoteranno principalmente su tre opzioni attualmente a disposizione dei lavoratori: Quota 103, Opzione Donna ed Ape sociale.
Quota 103 e l’ipotesi di Quota 41
Una delle opzioni a cui possono accedere quest’anno i lavoratori è Quota 103, che permette un’uscita dal mondo del lavoro prima di aver compiuto 67 anni, come invece prevederebbe la Legge Fornero.
Quota 103, almeno nella versione attualmente in vigore, scade il 31 dicembre 2024. Permette di andare in pensione con un’età anagrafica di 62 anni e almeno 41 anni di contributi versati. Il problema di questa misura è che – come tutti gli altri sistemi di quote previsti dal 2019 in poi – ha fatto aumentare notevolmente la spesa pubblica, anche se sono stati fissati parecchi paletti burocratici. Ed è stato introdotto un vero e proprio taglio dell’assegno previdenziale. Per scoraggiare i lavoratori ad aderire a Quota 103 è stato introdotto il Bonus Maroni, rivolto proprio ai 62enni con 41 anni di contributi, che possono guadagnare di più se decidono di rimanere al lavoro.
La proposta che circola in queste settimane è quella di trasformare Quota 103 in una sorta di Quota 41, grazie alla quale i lavoratori potrebbero andare in pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica raggiunta. Vincolando, comunque vada, l’opzione al metodo contributivo. Quella che abbiamo descritto, però, è solo una proposta, che non sembra cogliere i riscontri necessari: è possibile, infatti, che salti completamente il sistema delle quote.
Opzione Donna
Grazie ad Opzione Donna le lavoratrici hanno la possibilità di andare in pensione al raggiungimento dei 61 anni e con un minimo di 35 anni di contributi. Attenzione, però, in questo caso i requisiti devono essere stati maturati entro la fine dello scorso anno, ossia il 31 dicembre 2023. Il requisito anagrafico per accedere alla pensione anticipata scende di un anno per ciascun figlio, per un massimo di due.
Sono due le ipotesi che stanno circolando su Opzione Donna:
- lo strumento potrebbe essere completamente abolito e sostituito con delle agevolazioni ad hoc per le lavoratrici;
- lo strumento potrebbe essere prorogato nel 2025.
Ape sociale
L’opzione Ape sociale è riservata ad alcuni lavoratori che per un lungo periodo hanno svolto delle attività gravose. Nel caso in cui dovessero essere in possesso di un’invalidità civile pari ad almeno il 74%, hanno la possibilità di andare in pensione anticipatamente. La misura coinvolge quanti hanno compiuto 63 anni e 5 mesi d’età.
Nel caso in cui l’Ape Sociale non dovesse essere prorogata al 2025, l’ipotesi allo studio è quella di ridurre la platea dei lavoratori che vi possono accedere. Tra le idee al vaglio ci sarebbe anche quella di sostituirla con qualche altro strumento.
Pensione anticipata, il prolungamento delle finestre
Una delle ipotesi a cui sta lavorando il governo in vista della Legge di bilancio c’è anche quella di allungare le finestre per il ritiro anticipato dal lavoro, che adesso sono fissate in tre mesi. Sfruttando queste finestre i lavoratori hanno la possibilità di andare in pensione prima di aver maturato 43 anni di contributi: gli uomini con 41 anni e 10 mesi, le donne con 41 anni e 10 mesi senza prendere in considerazione l’età anagrafica.
L’idea sarebbe quella di prolungare questa finestra 6-7 mesi: l’assegno previdenziale inizierebbe, quindi, ad arrivare più tardi, dopo i 43 anni e cinque mesi di contributi.
Assegni più alti, stop alla rivalutazione
Il Governo ha allo studio anche lo stop alla rivalutazione degli assegni più alti: stiamo parlando del sistema che rivaluta il loro importo al costo della vita.
A causa dell’inflazione la spesa previdenziale aumenta ogni anno. Per questo il governo Meloni ha già tagliato le rivalutazioni degli assegni superiori a quattro volte il minimo, ma si ipotizza un ulteriore taglio: nel 2023 la spesa è salita lo stesso del 7,4% e del 5,8% nel 2024.
Fondi complementari e Tfr
Tra le proposte c’è l’ipotesi di intervenire sul fronte della previdenza complementare, rendendo, ad esempio, i fondi complementari cumulabili con il Trattamento di Fine Rapporto per chi esce dal lavoro solo con la pensione contributiva.
L’ipotesi al vaglio è di rendere obbligatorio il versamento di parte del Tfr nei fondi complementari di categoria o aperti. La misura permetterà di maturare i requisiti per ottenere l’assegno previdenziale anticipato a 64 anni con 20 di contributi nel caso in cui non si dovesse far parte della platea dei lavoratori che avessero avuto accesso al sistema retributivo.