Sanità, 4,5 milioni gli italiani rinunciano a curarsi: tra medici in fuga e continui tagli, la situazione del Ssn
In Italia, il sistema sanitario è in piena emergenza. Il personale è in grave crisi, le disuguaglianze tra Nord e Sud sono evidenti, e la spesa delle famiglie è in forte aumento (+10,3%). Ben 4,5 milioni di persone stanno rinunciando alle cure, mentre la spesa per la prevenzione è crollata del 18,6%. Questi dati emergono dal 7° Rapporto della Fondazione Gimbe sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN). La Fondazione segnala un divario di 52,4 miliardi di euro nella spesa sanitaria pubblica rispetto alla media dei paesi Ue, con una previsione di calo della percentuale del Pil al 6,2% entro il 2026.
Le persone rinunciano alle cure mediche
I dati del 2023 sono eloquenti: la spesa sanitaria a carico delle famiglie è cresciuta significativamente, con 4,5 milioni di persone che hanno dovuto rinunciare alle cure di cui 2,5 milioni per ragioni economiche, un aumento di 600mila rispetto all’anno precedente. Al contempo, i fondi pubblici si sono rivelati insufficienti, e le proiezioni del governo Meloni indicano che questa tendenza continuerà.
Sebbene siano previsti aumenti delle risorse destinate alla sanità, questi non saranno sufficienti a risolvere le criticità esistenti. Nel 2023, la spesa sanitaria a carico delle famiglie italiane è aumentata di oltre quattro miliardi di euro, suddivisi tra spese dirette (3,8 miliardi) e contributi a fondi sanitari e assicurazioni (553 milioni). Nel frattempo, la spesa pubblica è rimasta sostanzialmente invariata rispetto al 2022. Se nel biennio 2021-2022 la spesa privata era cresciuta dell’1,6%, nel 2023 ha registrato un balzo del 10,3%.
“Le persone sono costrette a pagare di tasca propria un numero sempre maggiore di prestazioni sanitarie”, sottolinea Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. La situazione, ha aggiunto, è “in continuo peggioramento“, e l’accesso alle cure dipende sempre di più dalla possibilità di sostenere i costi personalmente o di disporre di un’assicurazione sanitaria. Tuttavia, anche le polizze più complete “non potranno mai offrire una copertura totale come quella garantita dal Servizio sanitario nazionale”.
Quanto si investe per la sanità in Italia
Il Rapporto Gimbe evidenzia che, nonostante la spesa sanitaria pubblica sia salita a 134 miliardi di euro nel 2024, rimane un divario di 889 euro pro capite rispetto alla media dei Paesi Ocse dell’Unione Europea.
Secondo l’analisi della Fondazione, tra il 2010 e il 2019, la sanità ha subito una perdita di 37 miliardi di euro, dovuta a tagli effettuati per riequilibrare i conti pubblici o a finanziamenti inferiori rispetto a quanto programmato. Nel periodo dal 2020 al 2022, il Fabbisogno sanitario nazionale è aumentato notevolmente, ma gran parte di questa spesa aggiuntiva è stata destinata alla gestione della pandemia, senza apportare miglioramenti agli altri aspetti del Servizio sanitario nazionale. Anche nel 2023-2024, sebbene si siano registrati aumenti nei fondi, questi sono stati prioritariamente utilizzati per affrontare il caro-bollette e per il rinnovo tardivo dei contratti collettivi.
Ma le previsioni per il futuro non mostrano segni di un rilancio del finanziamento pubblico per la sanità. Secondo il Piano strutturale di bilancio approvato il 27 settembre in Consiglio dei ministri, il rapporto spesa sanitaria/Pil è destinato a scendere dal 6,3% nel 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027.
E il personale medico cala sempre di più
“La vera emergenza – sottolinea sempre Cartabellotta – riguarda però il personale infermieristico: a fronte di crescenti esigenze, anche dovute alla riforma dell’assistenza territoriale, il numero di infermieri è gravemente insufficiente, e le iscrizioni ai corsi di laurea sono in continuo calo”. Nonostante in Italia ci siano 4,2 medici ogni mille abitanti, un dato superiore alla media Ocse (3,7), molti professionisti stanno abbandonando alcune specializzazioni, in particolare la medicina d’emergenza-urgenza. Sempre riprendendo sati Ocse, con 6,5 infermieri ogni mille abitanti, l’Italia è già ben al di sotto della media, che è pari a 9,8. Tra le principali cause del fenomeno vi sono il burnout, le basse retribuzioni, le limitate prospettive di carriera e l’aumento degli episodi di violenza.
Una situazione che non sembra destinata a migliorare; nel 2022, infatti, i laureati in Scienze infermieristiche sono stati solo 16,4 ogni 100mila abitanti, un dato che rappresenta quasi un terzo rispetto alla media dei Paesi Ocse. Inoltre, per l’anno prossimo, il numero di candidati è stato quasi pari a quello dei posti disponibili: 21.250 domande per 20.435 posti, segnalando un interesse ancora limitato verso la professione.
Regioni in crisi e problemi in aumento con l’Autonomia differenziata
Preoccupano anche le difficoltà di alcune regioni nel rispettare i Livelli essenziali di assistenza (Lea), che garantiscono l’uniformità delle prestazioni sanitarie su tutto il territorio nazionale. Nel 2022, solo 13 regioni hanno raggiunto gli standard essenziali di cura, con la Puglia e la Basilicata come uniche eccezioni nel Sud. Motivo per cui molti per le cure si affidano alle regioni del Nord. Senza contare gli effetti dell’Autonomia differenziata, che secondo Cartabellotta, “affonderà definitivamente la sanità del Mezzogiorno, assestando il colpo di grazia al SSN e innescando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti”.
Inoltre, alcuni progetti finanziati dal Pnrr sembrano essere in ritardo. Secondo l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), al 30 giugno 2024, solo il 19% delle Case di comunità (268 su 1.421), il 59% delle Centrali operative territoriali (362 su 611) e il 13% degli Ospedali di comunità (56 su 429) sono stati dichiarati attivi dalle Regioni, con ritardi particolarmente evidenti nel Mezzogiorno.