Pensioni: sistema previdenziale non attira gli italiani, solo il 26% ha un fondo pensione
La crisi demografica è uno dei fattori che stanno facendo crescere il rapporto tra spesa pensionistica e Pil, con il numero di nuove pensioni liquidate nel 2023 nettamente superiore alle nuove nascite. Un rapporto che potrebbe raggiungere il 17% entro i prossimi 15 anni. In un contesto simile, l’adesione a forme di previdenza complementare diventa sempre più importante per i lavoratori; ma, secondo le stime di Moneyfarm, solo uno su quattro tra i cittadini tra i 30 e i 59 anni sta effettivamente investendo in previdenza integrativa.
Solo il 26% degli italiani nati tra il 1965 e il 1994 possiedono un fondo pensione
Secondo il report di Moneyfarm “Sistema previdenziale al collasso: il patto intergenerazionale si sta rompendo. Più neo-pensionati che neo-nati”, tra i circa 24,2 milioni di italiani nati tra il 1965 e il 1994, pari al 41% della popolazione, solo il 26% possiede un fondo pensione. Il restante 74% risulta privo di previdenza integrativa, per ragioni di occupazione o scelta. Inoltre, tra coloro che hanno aderito a un fondo pensione, quasi il 28% è rappresentato da cosiddetti “contribuenti silenti”, che non effettuano versamenti attivi, come evidenziato nella relazione annuale Covip del 2023.
L’utilizzo del Tfr per finanziare la previdenza integrativa resta contenuto: dal 2007 al 2023, appena il 22% del Tfr maturato è stato versato nei fondi pensione, mentre il resto è rimasto nelle aziende o nel Fondo di Tesoreria Inps, che raccoglie il Tfr delle aziende con più di 50 dipendenti.
“Ad oggi investire in previdenza integrativa non è ancora diventata una consuetudine per i lavoratori italiani – ha commentato Andrea Rocchetti, global head of investment advisory di Moneyfarm – per questo l’industria del risparmio è chiamata a svolgere un ruolo attivo di informazione e consulenza, sottolineando l’importanza di agire subito sfruttando il fattore tempo, vantaggi come la deducibilità fiscale dei versamenti e anche l’opportunità di conferire il TFR in un fondo pensione. Cominciare da subito a investire in una qualche forma di previdenza complementare consente di affrontare più serenamente il proprio futuro, senza essere costretti a modificare il proprio tenore di vita una volta usciti dal mondo del lavoro”.
Chi aderisce sono soprattutto gli uomini, indietro le donne
Il tasso di adesione alla previdenza integrativa è più alto tra gli uomini di età compresa tra i 40 e i 59 anni, con circa un terzo che ha sottoscritto un fondo pensione (33,5% rispetto al 21% delle donne della stessa fascia di età). Di contro, le giovani donne tra i 30 e i 39 anni mostrano il tasso di adesione più basso, con solo il 17% che investe in previdenza integrativa, a fronte del 27% dei coetanei uomini. Questa disparità è influenzata non solo dalla minore adesione delle giovani lavoratrici (27% contro 33% degli uomini), ma soprattutto dal divario di occupazione: le donne tra i 30 e i 59 anni hanno un tasso di occupazione medio del 63%, nettamente inferiore all’83% degli uomini, un divario che incide anche sulla partecipazione alla previdenza integrativa.
La previdenza femminile mostra un quadro complesso, aggravato dal calo progressivo del tasso di occupazione con l’aumentare dell’età: tra le donne dai 55 ai 64 anni, solo il 48% è occupato, rispetto al 69% degli uomini della stessa fascia di età. Questo significa che, pur potendo beneficiare di un requisito di pensione anticipata ridotto di un anno (41 anni e 10 mesi, contro i 42 anni e 10 mesi richiesti agli uomini), molte donne non riescono a raggiungere la continuità contributiva necessaria per accedere alla pensione per anzianità. Inoltre, con l’età media di pensionamento attualmente fissata a 64,2 anni e destinata a salire in futuro per via dell’adeguamento all’aspettativa di vita, le prospettive si fanno ancora più sfidanti per le lavoratrici che hanno da poco iniziato la propria carriera.
Il divario salariale continua a penalizzare la donna
Sebbene il tasso di sostituzione netto – cioè il rapporto tra la pensione netta e l’ultimo stipendio – sia simile tra donne e uomini (dal 59%-65% in uno scenario prudenziale fino al 70-80% nelle carriere più lunghe), la discontinuità lavorativa e il divario salariale penalizzano in particolare le lavoratrici.
Secondo il rapporto Inps 2023 sull’occupazione privata, gli uomini percepiscono una retribuzione media annua di 26.227 euro, rispetto ai 18.305 euro delle donne, una differenza di circa 8mila euro annui che si riflette inevitabilmente sugli importi pensionistici. Nel 2023, la pensione media era infatti di 1.750 euro lordi per gli uomini e 1.069 euro lordi per le donne, corrispondenti rispettivamente a circa 1.430 e 947 euro netti, come conferma l’ultimo rapporto Inps di settembre.