Salari medi italiani, crescita rallenta nel 2024. Le attese per il 2025
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Nel 2024 gli stipendi medi nelle aziende italiane hanno registrato un incremento del 3,8%, ma per il 2025 si prevede un rallentamento. L’aumento dei salari, seppur presente, sarà più moderato, con stime che indicano un +3,5%. È quanto emerge dalla Total Remuneration Survey 2024 di Mercer, che ha esaminato le politiche retributive di circa 700 aziende italiane appartenenti a diversi settori e con una media di 1.700 dipendenti ciascuna.
Nonostante il rallentamento previsto per il 2025, i dati evidenziano come le politiche retributive restino fortemente influenzate dall’andamento dell’inflazione, ormai divenuta un parametro di riferimento fondamentale.
Cosa stanno facendo le aziende per i salari
Nonostante un panorama italiano tutt’altro che roseo, molte aziende stanno cercando di migliorare la situazione salariale. In un mercato del lavoro estremamente competitivo, la componente variabile di breve periodo continua a essere utilizzata dalle aziende per attrarre e trattenere anche ruoli professionali, come emerge dallo studio di Mercer. Allo stesso tempo, si conferma il trend di crescita delle aziende (+22% rispetto al 2021) che introducono sistemi di long term incentive per remunerare i ruoli chiave per il business.
Aumenta anche la diffusione di strategie retributive che includono i flexible benefit (+17% rispetto al 2023) e modalità di lavoro più flessibili, sia in termini di orario che di luogo, con l’obiettivo di creare offerte di total rReward sempre più personalizzate e allineate alle esigenze delle persone.
“Se da un lato la perdita di potere d’acquisto degli stipendi degli ultimi anni sta rendendo le politiche meritocratiche meno selettive, ampliando la platea dei destinatari di incrementi retributivi”, spiega Marco Morelli, a.d. di Mercer Italia, “dall’altro la dinamicità del mercato del lavoro e le difficoltà nell’attrarre e trattenere le persone induce le aziende ad un ripensamento delle policy di Reward”.
L’importanza della formazione continua: i dati dell’Italia
Ma in un momento di forte trasformazione per il mondo del lavoro, dove le competenze stanno diventando la principale moneta di scambio, “le organizzazioni stanno riconoscendo l’importanza della formazione continua e dello sviluppo professionale come parte integrante delle politiche retributive e come step alla base della costruzione di modello pay for skill”, ha spiegato Morelli. “Quasi il 50% delle aziende rispondenti, infatti, offre programmi di formazione e sviluppo, sostenendo la totalità del costo della formazione, spesso senza obbligo di permanenza per i dipendenti all’interno dell’organizzazione”.
Che la formazione continua sia importante lo afferma anche l’Istat, con l’Italia che può e deve fare di più. Anche perchè nel nostro paese tra gli adulti di età compresa tra 25 e 64 anni, il tasso di partecipazione alle attività di formazione è del 35,7%, un valore quasi 11 punti percentuali inferiore alla media europea, posizionando l’Italia al 21° posto nella classifica Ue27. Gli obiettivi fissati dal Consiglio europeo per il 2025, che prevedono un tasso di partecipazione alle attività di istruzione e formazione del 47% per la fascia di età 25-64 anni, appaiono quindi ancora lontani.
Le cause della scarsa partecipazione alle attività formative in Italia sono molteplici e dipendono da fattori socio-demografici come l’età, il livello di istruzione, il background familiare, e la condizione occupazionale e professionale.
Tra questi, l’età gioca un ruolo determinante, poiché la partecipazione a programmi di apprendimento, sia formali (che prevedono il rilascio di titoli o qualifiche) sia non formali (organizzati senza rilascio di titoli), diminuisce significativamente con il passare degli anni. In particolare, le attività di apprendimento formale diventano quasi inesistenti dopo i 35 anni, con solo l’1,3% degli ultra-trentacinquenni italiani che partecipa a corsi formali. Tuttavia, anche nelle fasce giovanili, tra i 18 e i 24 anni, l’Italia presenta un tasso di partecipazione alle attività formative formali pari al 49,0%, ben 15,3 punti percentuali sotto la media europea, e con un divario di 27 punti rispetto alla Germania.