Solo un italiano su tre ha destinato il TFR a un fondo pensione
I lavoratori italiani hanno un vero e proprio tesoretto che potrebbero, previo assenso del proprio datore di lavoro, investire per andare a integrare l’assegno pensionistico pubblico. Parliamo del TFR, il trattamento di fine rapporto, quella componente della retribuzione dei lavoratori dipendenti che viene erogata al momento della cessazione del rapporto di lavoro e che può essere accantonato in azienda oppure destinato a un fondo pensione (quindi investito sui mercati, a discrezione del singolo lavoratore).
Fondo pensione o azienda: ecco dove investire il TFR
L’ultimo sondaggio effettuato da Moneyfarm mostra come, nonostante l’85% dei risparmiatori intervistati consideri economicamente vantaggioso investire il TFR in una forma di previdenza integrativa, soltanto un terzo del campione è effettivamente passato dalla teoria alla pratica e ha scelto di conferire il TFR a un fondo pensione. Un dato che trova riscontro a livello nazionale: dal 2007 al 2023 di cui soltanto il 22% del totale del TFR accumulato nelle aziende, pari a circa 97 miliardi, è stato conferito a una forma di previdenza integrativa. Il resto è rimasto in azienda: circa 98 miliardi sono stati destinati al Fondo di Tesoreria dell’INPS (per le aziende con più di 50 dipendenti), mentre 242 miliardi si trovano nei bilanci o nel circolante delle imprese con meno di 50 dipendenti.
Ma perchè si preferisce tenere il TFR in azienda? Il motivo principale sarebbe da ricondurre alla disinformazione per cui il 39% dei rispondenti semplicemente non sa di poter conferire il TFR a un fondo negoziale di categoria, a un fondo aperto o ad un PIP. Un altro tema è quello della flessibilità, con quasi un quarto degli intervistati che vede il TFR in azienda come più liquido e flessibile.
Chi invece sceglie di investire il TFR in un fondo pensione, lo fa perché lo considera più sicuro rispetto a quello lasciato in azienda, soprattutto se si tratta di una piccola realtà con meno di 50 dipendenti, sulla cui solidità è lecito nutrire qualche dubbio in più.
Quanto rende il TFR lasciato in azienda e quello investito in un PIP
Volendo fare un raffronto sul rendimento del TFR in azienda e quello investito in un fondo pensione, dall’indagine di Moneyfarm emerge che chi lascia il TFR in azienda al momento del riscatto, lo vedrà rivalutato in misura prestabilita ad un tasso fisso dell’1,5%, a cui si somma il 75% del tasso di inflazione. Quando invece si investe in un fondo pensione il rendimento dipende sempre dall’andamento dei mercati finanziari.
Andrea Rocchetti, head of investment advisory di Moneyfarm, sottolinea che “guardando agli ultimi dieci anni e nove mesi, il TFR lasciato in azienda si è rivalutato in media del +2,3%, mentre quello investito in un Piano Individuale Pensionistico con una linea azionaria ha reso una media del +4,8%, una forbice di più del doppio. Al netto di costi e fiscalità, anche in uno scenario di elevata inflazione media (3%), lasciare il TFR in azienda ha un costo per gli anni della pensione, con differenze che per i più giovani possono arrivare all’83% di ricchezza in meno”. Secondo i calcoli effettuati da Moneyfarm ad esempio, un quarantenne dipendente, con un reddito di 2.000 euro netti, potrebbe attendersi 57.838 euro dal TFR lasciato in azienda, mentre, conferendolo a una forma di previdenza integrativa, potrebbe ricevere tra i 60.525 euro con una linea a basso rischio (obbligazionaria) e i 92.982 euro con una linea ad alto rischio (azionaria), un delta di ben 35.144 euro.
Inoltre, continua Rocchetti, lasciando il TFR in azienda è possibile riscattarne il 100% in caso di licenziamento o di cambio di impiego (mentre destinandolo alla previdenza complementare questo è possibile solo dopo quattro anni di disoccupazione), ma ad ogni cambio di occupazione si perde almeno il 23%, perché il TFR lasciato in azienda, al momento della liquidazione. Il Trattamento di Fine rapporto difatti viene tassato in funzione delle aliquote Irpef (dal 23% al 43%), mentre il TFR destinato alla previdenza complementare “segue” il lavoratore a ogni cambio di lavoro, senza essere tassato nell’immediato, con un’aliquota finale, al momento della pensione, che varia dal 9% al 15%, a seconda degli anni di permanenza nella previdenza integrativa.
Infine, mentre l’anticipazione del TFR lasciato in azienda può essere richiesta soltanto una volta nell’arco dell’intero rapporto di lavoro, con un massimale annuo, investendolo nella previdenza integrativa non ci sono limiti alle domande di anticipazione, che possono essere inoltrate per specifici motivi, come ad esempio per sostenere le spese sanitarie (fino al 75% del totale accantonato in ogni momento), per l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa (fino al 75% del totale dopo otto anni di versamenti).