Giovani tra i più colpiti dalla crisi Covid: abbandoni scolastici in aumento e sopra media Ue, Italia penultima per laureati
Le conseguenze dell’emergenza sanitaria caratterizzano ancora, a metà 2021, il quadro economico e sociale dell’Italia. Particolarmente difficile, in termini di prospettive, è la situazione dei giovani che abbandonano gli studi precocemente senza aver conseguito un diploma o una qualifica o di quelli che sono fuori da un percorso scolastico o formativo e non hanno un lavoro. E’ ciò che emerge dal rapporto annuale 2021 dell’Istat, secondo cui la discontinuità della didattica in presenza che ha caratterizzato i due anni scolastici di pandemia ha aggravato queste criticità, perché l’effetto sulla partecipazione si è concentrato nelle categorie più vulnerabili, con minore disponibilità di risorse o con disabilità. Le conseguenze si riflettono sui livelli di competenze dei nostri studenti, già poco avanzate nel confronto internazionale.
Nel 2020, il 13,1% dei giovani di 18-24 anni ha abbandonato precocemente gli studi avendo raggiunto al massimo la licenza media (contro 10,1% in Ue27). Non solo. Tra aprile e giugno 2020, nel primo lockdown, l’8% degli iscritti (600mila studenti) delle scuole primarie e secondarie non ha partecipato alle video lezioni, con un massimo nel Mezzogiorno (9%) e una più alta quota di esclusi nella scuola primaria (12%). Solo 1 milione e 700mila bambini e ragazzi di 6-14 anni, ovvero il 33,7%, hanno fatto lezione tutti i giorni e con tutti gli insegnanti. Le famiglie dichiarano che la sospensione della didattica in presenza, per quattro studenti su dieci ha comportato diversi disagi: abbassamento del rendimento scolastico (uno studente su quattro), irritabilità o nervosismo (quasi uno su tre), disturbi alimentari o anche del sonno e paura del contagio (uno su dieci).
L’Italia è in ritardo sull’istruzione rispetto agli altri paesi europei, soprattutto per la formazione universitaria: appena il 20,1% degli individui di 25-64 anni risulta aver conseguito un titolo terziario in Italia, contro il 32,5% nella Ue. Il nostro Paese si colloca al penultimo posto nella graduatoria Ue per quota di laureati tra i giovani 30-34enni (27,8% contro 40% della media europea). Il gap con il resto d’Europa riguarda anche le donne (34,3% di laureate in Italia contro 46,2% della Ue27), che pure hanno una maggiore probabilità di laurearsi rispetto agli uomini (21,4% di laureati in Italia, ultima posizione, contro 35,7%).
La crisi legata alla pandemia ha contribuito anche alla diminuzione del tasso di occupazione dei giovani. Nel caso dei giovani, più frequentemente dipendenti a termine soprattutto nel settore terziario, il calo dell’occupazione nei primi mesi della pandemia è stato particolarmente marcato e, nonostante la dinamica molto positiva registrata nei primi mesi del 2021, lo svantaggio rispetto alle altre età è molto ampio. Non solo. Nel 2020 sono 2 milioni e 100mila i giovani di 15-29 anni non più inseriti in un percorso scolastico o formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa (i cosiddetti NEET, Neither in Employment nor in Education and Training), pari al 23,3% dei giovani di questa fascia di età in Italia (in aumento rispetto al 22,1% del 2019) e a circa un quinto del totale dei NEET europei. Nel corso della crisi il calo dell’occupazione si è accompagnato, in un primo momento, alla diminuzione della disoccupazione e al contemporaneo aumento dell’inattività. Le misure di chiusura delle attività e le limitazioni agli spostamenti hanno scoraggiato, e in alcuni casi reso impossibile, la ricerca di lavoro e la stessa disponibilità a lavorare, ma nella fase recente di moderato recupero dell’occupazione emerge un ritorno alla ricerca di un impiego.