Smartworking destinato a rimanere, il 54% delle imprese continuerà a usarlo
Il lavoro sarà sempre più agile anche nel post-Covid. Il 54% delle aziende in Italia si dice pronto a continuare ad utilizzare lo smartworking anche a seguito dell’emergenza sanitaria e, a regime, la settimana ideale sarà metà in presenza e metà a distanza così da recuperare i rapporti sociali che hanno rappresentato in questi mesi la maggiore criticità. La rivoluzione del lavoro, innescata con il coronavirus e l’esigenza di limitare i contatti, non si fermerà e coinvolgerà soprattutto le imprese di servizio, mentre nel settore manifatturiero riguarderà tutte quelle funzioni (amministrative, di marketing e gestione del personale) per cui non è necessaria la presenza fisica. Di pari passo si diffonderà una nuova cultura aziendale fondata sulla fiducia invece che sul controllo, sulla responsabilità invece che sulla gerarchia, sulla flessibilità invece che sulla rigidità e sulla collaborazione invece che sulla competizione.
A delineare lo scenario del lavoro nel post-pandemia è lo studio “Quick survey Smart working 2.0” realizzato, a distanza di 11 mesi dall’avvio dello smartworking, da Fondirigenti indagando tra le sue 14mila aziende aderenti. Ciò che emerge dalle varie risposte è che l’approccio dimostrato dalla maggior parte delle imprese (il 54%) è quello di implementare una strategia in grado di strutturare il lavoro da remoto in modo permanente, ottimizzando i vantaggi e gestendo i rischi associati. Dalle prime risposte di imprenditori, manager, quadri, impiegati (oltre 1.500 – un campione costituito dal 74% aziende del Nord, 18% Centro, 8% Sud, 63% Pmi e 37% grandi imprese) è emerso che la suddivisione ideale della settimana lavorativa tra smartworking e presenza in ufficio è di metà e metà, si aggira infatti su una media di 2,6 giorni in presenza e 2,4 giorni a distanza.
Le più propense all’utilizzo dello smart working anche in tempi post-emergenziali risultano essere le cooperative (86%), gli enti no profit (85%), seguiti dalle aziende private non familiari (58%). Nelle aziende più strutturate, in particolare in quelle che, oltre ad erogare servizi, producono beni materiali, la transizione allo smartworking può risultare più lenta e la readiness può riguardare principalmente le figure impiegatizie e meno quelle operaie.
Lo smartworking contribuisce ad innalzare la qualità del lavoro e della vita. Dall’analisi dei risultati è emerso tra i principali vantaggi un aumento della soddisfazione dei lavoratori, motivato dal grande valore associato al work life balance, alla gestione e flessibilità del tempo, alla produttività individuale e al livello di concentrazione. Gli aspetti più complessi da gestire rilevati da quest’esperienza ancora in fase di transizione sono stati riscontrati invece nell’assenza di rapporti sociali e nella mancanza di interazioni di gruppo.
Per valorizzare appieno i punti di forza e superare le criticità, occorrerà attendere che il processo di transizione giunga al termine, trasformando ciò che attualmente, in molti casi, è più vicino al telelavoro che a un vero e proprio smart working. Saranno necessari investimenti per migliorare le dotazioni tecnologiche e, soprattutto nuove modalità di organizzazione e gestione del tempo e del lavoro.