Economia circolare: in Italia solo il 24% delle imprese non è interessato
Cresce l’interesse in Italia per l’economia circolare come emerge dal primo Circular Economy Report 2021, un’indagine condotta da Energy&Strategy Group – School of Management Politecnico di Milano coinvolgendo oltre 150 imprese in 4 macro-settori industriali: “Costruzioni” (opere di ingegneria civile o lavori di costruzione specializzati), “Automotive” (progettazione, costruzione e vendita di veicoli o componenti), “Impiantistica Industriale” (realizzazione di apparecchiature elettriche o macchinari destinati all’industria), “Resource & Energy Recovery” (recupero e smaltimento di rifiuti biologici, gestione di impianti per la produzione di energia elettrica attraverso biomasse).
Circular Economy Report 2021
Dall’indagine emerge che il 62% delle aziende intervistate ha implementato almeno una pratica di Economia circolare o ha giocato un ruolo di supporto ad altre imprese nelle loro iniziative circolari (10%). Nel restante 38%, il 14% ha già chiara la volontà di adottare almeno una pratica di economia circolare nel prossimo triennio, mentre solo il 24% del totale si è dimostrato indifferente al tema.
Il settore “Resource & Energy Recovery” è quello che attualmente si colloca in posizione migliore rispetto agli altri, mentre le aziende dell’“Automotive” appaiono (e si percepiscono) come maggiormente legate a logiche di tipo lineare all’interno dei propri processi. Quanto ai tipi di attività, si è adottato soprattutto il “Design for Environment” (intervenire sul ri-disegno dei prodotti e dei processi è il primo fondamentale tassello), mentre solo circa un terzo delle aziende ha introdotto pratiche relative al “Design for Remanufacturing/Reuse” e ben poche sono arrivate sino al “Design for Disassembly” e soprattutto alla messa in atto di sistemi di “Take Back”, ossia di recupero delle materie e dei componenti dai clienti finali.
“Con il Circular Economy Report inauguriamo un nuovo filone di ricerca in cui è stato decisivo il contributo delle nostre aziende partner – spiega Andrea Chiaroni, vicedirettore dell’E&S Group e curatore dell’indagine -. Capire di cosa realmente si stia parlando (non del ciclo dei rifiuti, per intenderci, che è solo la parte finale e a minor valore aggiunto del processo) è determinante e chiarisce immediatamente che in Italia la vera economia circolare è ancora di là da venire e richiede un tempo e un ammontare di investimenti ben più significativi di quanto oggi sia in campo. La Circular Economy non è la panacea di tutti i mali, la miglior soluzione possibile per ogni settore, ambito di consumo o attore in gioco. E’ un percorso lungo e complesso che però occorre intraprendere: dall’inizio del ‘900 la popolazione mondiale è cresciuta di 4,5 volte, il consumo di risorse naturali, invece, di quasi il triplo”.
“Si tratta di cambiare radicalmente prospettiva rispetto all’attuale economia lineare – prosegue Chiaroni -: mantenere i prodotti il più a lungo possibile nel circuito attraverso l’estensione della loro vita, la ridistribuzione, il riutilizzo, la rigenerazione e, soltanto alla fine, il riciclo. In questo modo, anche connettendo più filiere che traggano beneficio e condividano parte delle risorse (la cosiddetta “simbiosi industriale”), risulta possibile sostenere la stessa domanda di beni e servizi con un minor prelievo di risorse naturali. Non è quindi una ricetta di austerity, bensì di espansione della domanda, e qui sta la principale differenza con gli altri paradigmi sostenibili. In Italia non c’è ancora un ‘ecosistema’ circolare di player che lavorino insieme e spingano intere filiere tecnologico-produttive verso il nuovo approccio industriale. A mancare sono soprattutto le ‘piattaforme’, ossia gli attori deputati a costituire un bilanciamento tra la domanda e l’offerta di prodotti, materiali o risorse, creando ‘mercati’ che facilitino la circolazione delle risorse all’interno del sistema. La totale assenza di questi attori, salvo sporadici casi ed ancora embrionali, rappresenta una limitazione fortissima”.