L’Istat fotografa l’Italia: quadro incerto con diseguaglianze in aumento e fragilità imprese. Famiglia resta rifugio
Un quadro economico e sociale, quello italiano, che si presenta a metà 2020 “eccezionalmente complesso e incerto”. Con un segno distintivo del Paese nella fase del lockdown che è stato quello di forte coesione, che “si è manifestata nell’alta fiducia che i cittadini hanno espresso nei confronti delle istituzioni impegnate nel contenimento dell’epidemia”. Un momento in cui la famiglia ha rappresentato un rifugio sicuro per molti. Questo la fotografia scattata dall’Istat che ha presentato stamattina a Palazzo Montecitorio il ‘Rapporto annuale 2020′ che mette a fuoco la situazione del Paese sotto diversi punti di vista.
Un’eredità debole e poi il macigno lockdown
La crisi determinata dall’emergenza sanitaria ha investito l’economia italiana in una fase caratterizzata da una prolungata debolezza del ciclo. Lo scorso anno il Pil è cresciuto di appena lo 0,3% e il suo livello è ancora inferiore dello 0,1% rispetto a quello registrato nel 2011. In particolare, l’Istat scrive che “al rallentamento congiunturale del 2019 si è sovrapposto l’impatto della crisi sanitaria e, nel primo trimestre, il Pil ha segnato un crollo congiunturale del 5,3%”. I segnali più recenti includono: inflazione negativa, calo degli occupati, marcata diminuzione della forza lavoro e caduta del tasso di attività, una prima risalita dei climi di fiducia. Alla luce di questo scenario, le previsioni Istat stimano per il 2020 un forte calo dell’attività economica, solo in parte recuperato l’anno successivo.
Capitolo imprese
“Le imprese rimaste attive nel corso del lockdown appartengono soprattutto a comparti che trasmettono gli impulsi su scala estesa, ma lentamente”, rimarca l’Istat nel suo rapporto annuale 2020. Il ritorno ai livelli pre-crisi potrebbe richiedere tempi piuttosto lunghi anche alla luce delle stime sugli effetti inter-settoriali delle misure di lockdown introdotte in Italia e all’estero.
Le misure di contenimento dell’epidemia hanno provocato una significativa riduzione dell’attività economica per una larga parte del sistema produttivo: oltre il 70% delle imprese ha dichiarato una riduzione del fatturato nel bimestre marzo-aprile 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; oltre il 40% ha riportato una caduta maggiore del 50%. E permangono diversi fattori di fragilità. Tra tutti il problema del reperimento della liquidità è molto diffuso, ma anche i contraccolpi sugli investimenti – segnalati da una impresa su otto – che potrebbero rappresentare un ulteriore freno ed è anche preoccupante che il 12% delle imprese sia propensa a ridurre l’input di lavoro. Tuttavia, aggiunge l’isituto, si intravedono fattori di reazione positiva e di trasformazione strutturale in una componente non marginale del sistema produttivo.
Con i conseguenti riflessi sul fronte del lavoro. Nel corso del 2019 la lunga fase di crescita dell’occupazione si è esaurita, con un moderato calo nella seconda parte dell’anno. Dopo il ristagno dell’inizio del 2020, a marzo e più marcatamente ad aprile, gli occupati hanno registrato un netto calo (circa 450mila in meno nei due mesi, sulla base dei dati più aggiornati) che ha riguardato soprattutto la componente giovanile e quella femminile. A causa delle limitazioni nella possibilità di azioni di ricerca di lavoro, l’effetto della crisi ha determinato un aumento dell’inattività e un calo del tasso di disoccupazione (al 6,3% ad aprile).
Diseguaglianze in aumento, cala probabilità di ascesa sociale
La pandemia da Covid-19 si è innestata su una situazione sociale caratterizzata da forti e crescenti disuguaglianze. La classe sociale di origine influisce ancora in misura rilevante sulle opportunità degli individui nonostante il livello di ereditarietà si sia progressivamente ridotto. Non solo, l’Istat sottolinea che per la generazione più giovane però è anche diminuita la probabilità di ascesa sociale.
Sul fronte del mercato del lavoro la fotografia al 2019 indica crescita di diseguaglianze territoriali, generazionali e per titolo di studio rispetto al 2008. Quelle di genere sono diminuite in termini di quantità di occupati ma aumentate sotto il profilo della qualità del lavoro. L’elevato tasso di irregolarità dell’occupazione – più alto tra le donne, nel Mezzogiorno, tra i lavoratori molto giovani e tra quelli più anziani – nella crisi è fonte di fragilità aggiuntiva per le famiglie. Rischi di amplificazione delle diseguaglianze a svantaggio delle donne sono associati alla precarietà, al part time involontario e alla conciliazione dei tempi di vita, resa più difficile dalla chiusura delle scuole e dalla contemporanea impossibilità di affidarsi alla rete familiare. Si aggiunge il fatto che le disuguaglianze tra bambini crescono per il digital divide, la mancanza di attrezzature informatiche e l’affollamento abitativo.
Infine, in un Paese in cui l’organizzazione del lavoro è ancora rigida, l’esperimento dello smartworking, bruscamente accelerato dall’emergenza sanitaria, ha messo in evidenza le potenzialità di questo strumento, al netto delle criticità legate all’ampio divario digitale che caratterizza il Paese e alle cautele legate agli squilibri tra lavoro e spazi privati.