Lavoro e welfare: rinviata la ‘Great Resignation italiana’. Smart working? Italiani puntano a ‘soluzione ibrida’
Luci e ombre sul mercato del lavoro italiano che vede le retribuzioni al palo e uno stress in aumento, oltre a una precarietà che desta preoccupazioni. In questo scenario la ‘Great Resignation‘ italiana è rinviata. Insomma, tra i lavoratori italiani il pragmatismo vince sulla tentazione di dimissioni al buio per cercare un impiego più gratificante o per fare altro. Fa più paura l’idea di ritrovarsi impantanati nella precarietà del mercato del lavoro. Eppure, l’82,3% dei lavoratori (l’86% tra i giovani, l’88,8% tra gli operai) si dice insoddisfatto della propria occupazione e ritiene di meritare di più. Questa la fotografia scattata da 5° rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, realizzato in collaborazione con Eudaimon.
Nel dettaglio dal rapporto emerge che il 56,2% degli occupati non è propenso a lasciare il proprio lavoro, nella convinzione che non troverebbe un impiego migliore. La percentuale sale al 62,2% tra i 35-64enni e al 63,3% tra gli operai. È vero che nei primi nove mesi del 2021 si registrano 1.362.000 dimissioni volontarie, con un incremento del 29,7% rispetto allo stesso periodo del 2020. Ma proprio nel 2020, quando a causa del Covid il mercato del lavoro si era paralizzato, si era verificato un picco negativo di dimissioni: solo 1.050.000 nei primi tre trimestri, ovvero -18% rispetto al 2019.
Retribuzioni al palo da troppo tempo
C’è un’altra importante questione che gli italiani soppesano: la retribuzione. Stando al rapporto Censis, il 58,1% dei lavoratori ritiene di ricevere una retribuzione non adeguata al lavoro svolto. La percezione è confermata dalle statistiche ufficiali: negli ultimi vent’anni le retribuzioni medie lorde annue nel nostro Paese si sono ridotte del 3,6% in termini reali (al netto dell’inflazione), mentre in Germania sono aumentate del 17,9% e in Francia del 17,5%. Pensando alla propria occupazione, il 68,8% dei lavoratori si sente meno sicuro rispetto a due anni fa (la percentuale sale al 72,0% tra gli operai e al 76,8% tra le donne). Nell’ultimo biennio il 66,7% dei lavoratori (il 71,8% tra i millennial) ha vissuto uno stress aggiuntivo per il lavoro e il 73,8% teme che in futuro dovrà fronteggiare nuove emergenze lavorative, con impatti rilevanti sulla propria vita quotidiana. Il lavoro, insomma, non paga abbastanza, non dà le certezze del passato, diventando anche una fonte di tensione.
Nell’analisi sul mondo del lavoro il Censis mette in luce come per il 51,3% degli occupati la propria professione è mutata molto durante la pandemia. Il digitale è stato determinante, ma non indolore. Infatti, complessivamente il 58% ha riscontrato difficoltà nell’utilizzo dei dispositivi digitali. Sullo smart working i lavoratori italiani si dividono: il 25,1% non vorrebbe farlo, il 32,9% è soddisfatto e vorrebbe proseguire, il 42% opterebbe per una soluzione ibrida.
Come entra in gioco il ruolo del welfare aziendale
Come colmare il deficit di motivazione dei lavoratori? Le richieste alle aziende sono chiare: il 91,2% dei lavoratori vorrebbe retribuzioni più alte, l’86,5% più servizi di welfare aziendale su ambiti come la sanità e l’assistenza per i figli, il 75,2% un maggiore supporto nel rispondere ai bisogni sociali quali la non autosufficienza di un familiare, la previdenza, l’istruzione dei figli. “Piani di welfare ‘su misura’, fatti di servizi e supporti personalizzati, disegnati sull’unicità dei bisogni del singolo lavoratore, possono dare un contributo decisivo alla domanda di riconoscimento dei lavoratori, stimolando un diverso rapporto con il lavoro e con l’azienda”, concludono dal Censis.