Argentina condannata a nono default della sua storia. Governo Macri annuncia ristrutturazione debito $110 MLD
L’Argentina è un paese ormai condannato al default? Viene da chiederselo, nell’apprendere le ultime notizie che arrivano da Buenos Aires. Si tratterebbe, a dirlo è la storia, del nono default del paese.
Nelle ultime ore il ministro delle Finanze Lacunza ha annunciato la decisione di ristrutturare 110 miliardi di debito argentino: il ministro ha comunicato che la decisione è stata presa sia per il debito pubblico interno che per quello esterno. La decisione coinvolge anche i 57,4 miliardi dollari che sono stati prestati a Buenos Aires dall’Fmi.
Lacunza ha precisato che il paese rinegozierà il suo debito “senza tagli di capitale e interessi, ma per tentare di ottenere tempi più lunghi (nei rimborsi di quanto dovuto), che permettano di dare stabilità all’economia, riducano l’inflazione e mettano sotto controllo il cambio con il dollaro”.
A tal proposito, da segnalare che secondo alcuni economisti il tasso di inflazione – che già si distingue per essere tra i più alti al mondo – potrebbe schizzare quest’anno dal 50% al 70%.
Nell’ambito dell’operazione di ristrutturazione del debito, sono previsti anche negoziati del governo Macri con il Fondo monetario internazionale “per un nuovo profilo sulle scadenze del debito”.
Ciò che Macri desidera, insomma, è ottenere “una volontaria estensione dei tempi di pagamento” e non puntare su un taglio degli interessi o del capitale dovuti ai creditori.
Tuttavia, una tale richiesta corrisponderebbe già a un default del debito sovrano, come si evince da quanto stabiliscono le agenzie di rating che, di norma, dichiarano che un paese è “in default o in default selettivo” quando non riesce a onorare tutti i suoi debiti.
Il fatto che Buenos Aires tenda a una “riprofilazione volontaria” non significa molto per chi ha investito nei suoi bond, che saranno molto probabilmente destinati a soffrire perdite”.
Non per niente, dopo l’annuncio del ministro, e verso la fine della seduta di ieri l’indice Merval della Borsa di Buenos Aires è arrivato a perdere quasi il 5%, a fronte del “rischio Paese” misurato da JP Morgan balzato oltre la soglia di 2200 punti, al record dalla ristrutturazione del debito nel default del 2005.
La crisi argentina si è fatta conclamata con l’esito delle elezioni primarie di tre settimane fa. Le elezioni hanno sancito la sconfitta dell’attuale presidente Mauricio Macri, rendendo a questo punto quasi impossibile una sua vittoria alle elezioni presidenziali di ottobre. Il consenso elettorale ottenuto da Macri è stato pari ad appena il 32%, contro il 47% del candidato peronista alla presienza, Alberto Fernandez. Quest’ultimo accusa da tempo Macri di aver lanciato misure di austerity che hanno finito per provocare la stagnazione economica del paese, l’alta inflazione e la fuga dei capitali. In passato, lo stesso Fernandez aveva lanciato un appello affinché Macri ristrutturasse il pacchetto di aiuti, ergo bailout, da $57 miliardi, ricevuto dal Fondo Monetario Internazionale, per “porre fine alla catastrofe sociale” imposta sul popolo argentino.
In realtà, il crollo della borsa, del peso e dei bond argentini a cui il mondo ha assistito dalla sconfitta di Macri alle primarie non è dovuto tanto alle dichiarazioni di Fernandez quanto al probabile ritorno al potere di Cristina Fernandez de Kirchner nelle vesti di vicepresidente di un nuovo governo peronista orientato a sinistra.
Presidente dell’Argentina dal 2007 al 2015, Kirchner è nota per aver lanciato misure di politica economica incentrate sull’interventismo che, secondo alcuni analisti, non avrebbero fatto altro che peggiorare la crisi finanziaria del paese. Kirchner si è ripetutamente rifiutata di rimborsare il debito argentino, in particolare quello dovuto agli hedge fund americani, definiti da lei “avvoltoi”.
I mercati non ci hanno messo molto a punire gli asset del paese dopo la notizia della sconfitta di Mauricio Macri, considerato market-friendly.
Il peso è crollato di oltre -20% nelle ultime due settimane, mentre la borsa di Buenos Aires è precipitata del 30%. Nessun effetto ha avuto il tentativo disperato della banca centrale di risollevare le quotazioni della valuta con acquisti, questo mese, per un valore di $1,5 miliardi.
La mossa ha avuto piuttosto l’effetto di drenare ulteriormente liquidità dalle riserve in valuta estera, già scarse. La società di consulenza con sede a Londra Capital Economics, a tal proposito, ha già calcolato che le riserve nette presenti presso la banca centrale potrebbero riuscire a coprire solo il 60% del fabbisogno finanziario di quest’anno, stimato in $100 miliardi.
DOWNGRADE S&P
L’agenzia di rating Standard & Poor’s ha tagliato il rating sul debito sovrano in valuta locale ed estera a “SD”, ovvero a selective default, e il rating sulle emissioni di breve termine a “D”, ovvero default.
Nella nota si legge che, “a seguito della continua incapacità (del paese) di collocare bond a breve termine presso i partecipanti del settore privato, il governo argentino ha esteso unilateralmente la maturity di tutti i suoi bond a breve termine, nella giornata del 28 agosto. (Questa mossa), in base ai nostri criteri, corrisponde a un default”.
I rating sulle emissioni in valuta locale ed estera di lungo termine sono stati abbassati invece da S&P a “CCC-“ per il rischio aumentato di un default in base ai nostri criteri”.