Confindustria, Pmi meridionali ad un punto di svolta: ecco i tre fattori su cui puntare
Nel Mezzogiorno d’Italia sono quasi 30mila le Pmi di capitali comprese tra 10 e 250 addetti che da sole vantano oltre 136 miliardi di euro di fatturato e un valore aggiunto di quasi 32 miliardi di euro, pari a circa il 10% del PIL meridionale. I numeri sono quelli della quinta edizione del Rapporto Pmi Mezzogiorno, a cura di Confindustria e Cerved, con la collaborazione di SRM – Studi e Ricerche per il Mezzogiorno. Un rapporto che restituisce una fotografia in chiaroscuro per le PMI che sono sì in salute come dimostra l’andamento positivo del fatturato (+4,4%) e del valore aggiunto (+3,5%) non molto lontano da quello delle Pmi del resto del Paese, ma ci sono al tempo stesso segnali preoccupanti.
Le zavorre che pesano sulle Pmi del Sud
A pesare sulle Pmi del sud Italia, secondo il rapporto, l’ulteriore frenata della redditività lorda, con i margini che crescono solo dello 0,5% e un indebitamento sostanzialmente fermo (+0,4%), segno che per numerose imprese l’accesso al credito resta difficoltoso, nonostante l’ampia liquidità a tassi accessibili ancora disponibile. Inoltre le imprese meridionali devono fare i conti con il costo del lavoro che nel 2017 è tornato a crescere più del valore aggiunto. A conti fatti il patrimonio netto delle imprese meridionali risulta inferiore del 30% rispetto al valore nazionale, soprattutto a causa della minore capitalizzazione delle medie imprese.
I fattori su cui intervenire
Sono tre i fattori strutturali di debolezza su cui intervenire secondo il Rapporto: in primis la dimensione, in secondo luogo la governance e terzo la propensione all’esportazione delle Pmi meridionali. Secondo Confindustria, il rischio di un nuovo stop alla crescita è davvero dietro l’angolo e occorre perciò fare quel salto dimensionale tanto atteso che richiede forti iniezioni di capitale, nuove competenze ed una governance più matura.
Il punto di svolta per le Pmi del sud potrebbe arrivare grazie ad una progressiva apertura delle imprese familiari, che sono ancora la forma prevalente al Sud (74%) più ancora della media nazionale: quasi una impresa meridionale su due è del tutto chiusa ad ogni tipo di apporto esterno. Eppure molte imprese sono già pronte per questo “salto”. Il Rapporto di Confindustria ne identifica circa 1.000 con caratteristiche compatibili con l’acquisizione da parte di un Fondo di private equity o con una possibile quotazione: si tratta di un numero rilevante di Pmi, la cui apertura potrebbe avere un impatto davvero significativo sull’economia del Sud, quantificabile nel medio periodo in oltre 3 punti di PIL in più. Infine l’apertura e la crescita dimensionale potrebbero dare alle Pmi meridionali energie nuove per affrontare la terza sfida decisiva: quella dei mercati internazionali. Su un totale di 30mila Pmi, quelle a forte vocazione internazionale sono ancora troppo poche, solo 2.500, l’8,7% del totale (il 20,7% in Italia). Da qui si può tornare a correre.