Non c’è due senza tre: May ripresenterà proposta Brexit al Parlamento. Intanto Tusk apre a lungo rinvio scadenza
Reduce da una doppia disfatta a Westminster, la premier britannica non perde la speranza e medita di riportare nuovamente la proposta sulla Brexit – il cosiddetto accordo di ritiro, Withdrawal Agreement – concordata con Bruxelles lo scorso novembre alla Camera dei Comuni.
Il voto – su un accordo che rimane praticamente lo stesso – è atteso secondo la BBC per la prossima settinana.
L’emittente britannica riporta che May avrebbe anticipato ai parlamentari che, nel caso in cui il deal con l’Ue sui termini del divorzio dovesse essere nuovamente affossato, a quel punto potrebbe essere necessario rinviare la Brexit, e non di poco.
Riuscirà la ‘minaccia’ di una Brexit rimandata ad oltranza a convincere i Brexiteers più agguerriti a mettere da parte le loro riserve sull’intesa e a votare per l’accordo, pur di far uscire il Regno Unito dal blocco europeo?
La notizia del terzo voto a Westminster arriva dopo che si è appreso che il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, chiederà ai paesi leader dell’Unione europea di essere “aperti alla prospettiva di un lungo rinvio della data” effettiva di uscita degli UK dall’Ue (fissata al 29 marzo), a fronte della eventuale necessità del Regno Unito di ripensare alla propria strategia e di ottenere il sì del Parlamento.
Oggi altra giornata cruciale a Westminster, dove i parlamentari – che ieri hanno bocciato la proposta di una no-deal Brexit – voteranno la proposta di posticipare la data effettiva della Brexit dalla deadline fissata al 29 marzo al prossimo 30 giugno.
Simon Ward, Economic Adviser di Janus Henderson Investors, ritiene che il primo ministro May abbia perso il controllo dei negoziati sulla Brexit, uno sviluppo che ha aumentato il rischio di un “no deal”, nonostante il Parlamento sia contrario a questa possibilità.
“Dopo la seconda pesante sconfitta incassata dalla sua proposta di accordo di uscita dall’Unione Europea (UE), il Primo Ministro May ha perso il controllo del processo dei negoziati sulla Brexit. Ciò ha aumentato il rischio di un “no deal”, nonostante il Parlamento sembri opporsi a questa opzione. In particolare, sono tre le vie alternative che è possibile percorrere per evitare una Brexit senza accordo. La prima presuppone che i Conservatori dell’European Research Group (ERG) e del Partito unionista democratico dell’Irlanda del Nord (DUP) abbandonino la loro opposizione all’accordo presentato dalla May. Ma, con ogni probabilità, non lo faranno. Gli integralisti dell’ERG non vogliono un accordo. I più irriducibili tra di loro si sono battuti per una completa rottura con l’UE per 30 anni e non hanno mai voluto trovare un compromesso con la leadership del partito. Preferirebbero che la Brexit andasse a rotoli e si piangesse ‘un tradimento’ piuttosto che accettare quello che considerano un risultato ‘annacquato’. La seconda alternativa prevede che una maggioranza della Camera dei Comuni si riunisca attorno ad un nuovo accordo che ipotizzi una Brexit per così dire più “soft”, sulla base del quale il Regno Unito rimarrebbe nell’unione doganale e nel mercato unico. Una simile iniziativa, tuttavia, richiederebbe un governo che la porti avanti. Un’amministrazione a guida conservativa, nel tentativo di farlo, dividerebbe irrimediabilmente il partito e perderebbe la propria maggioranza. Non è nemmeno chiaro se esista o meno una maggioranza tra i membri della Camera dei Comuni per una Brexit soft. I deputati che rappresentano le altre circoscrizioni potrebbero trovarsi nell’impossibilità di sostenere un accordo che consenta un’immigrazione illimitata nell’UE, una delle questioni chiave nella campagna referendaria”.
“La terza possibilità – continua Weird – presuppone una proroga dell’art. 50 per dare il tempo necessario alla stesura di un nuovo accordo che potrebbe portare ad un altro referendum, con diverse opzioni di voto. Molti deputati, probabilmente, finirebbero per opporsi anche a questa eventualità, considerandola come un mancato riconoscimento del risultato raggiunto con il primo referendum. Cosa ancora più importante, l’Unione europea potrebbe non aderire. Una proroga permetterebbe al Regno Unito di partecipare alle elezioni del Parlamento europeo di maggio, cosa che si tradurrebbe in una possibile partecipazione di fastidiosi eurodeputati britannici appartenenti a un nuovo “partito Brexit”. Inoltre, consentirebbe al Regno Unito di avere più tempo per prepararsi a un’uscita senza problemi, riducendo così il potere d’influenza dell’UE nei futuri negoziati commerciali. A tutto questo si aggiunge il fatto che molte imprese europee hanno già predisposto piani di emergenza per il “no deal” e potrebbero preferire che avvenga quest’anno piuttosto che affrontare un altro periodo di debilitante incertezza. Un altro scenario possibile è che il Regno Unito chieda e ottenga una proroga dell’art. 50 fino a giugno, evitando così la partecipazione alle elezioni del Parlamento europeo. Londra potrebbe utilizzare questo tempo per esercitare pressioni sull’ERG/DUP affinché aderisca al suo accordo, anche se non ha avuto successo finora. Proseguono i preparativi per una Brexit senza accordo da entrambe le parti, con una crescente consapevolezza – sia politica che pubblica – che un tale risultato sia effettivamente probabile”.