Salario minimo a 9 euro: no di imprese e sindacati. Quale impatto su stipendi e aziende?
Sindacati, imprese e governo a confronto sulla proposta di introdurre un salario minimio garantito per legge intorno ai 9 euro. In particolare, i due disegni di legge preentati stabiliscono che la retribuzione oraria minima non dovrà essere più bassa di 9 euro netti (secondo il DdL 310 presentato da Mauro Laus del PD) o di 9 euro lordi (Ddl 658 di Nunzia Catalfo dei 5S). L’applicazione riguarderebbe tutte le categorie di lavoratori e settori in cui la retribuzione minima non è già stabilita dai contratti collettivi nazionali, che offrono già una tutela in questo senso.
Il dibattito è acceso, con imprese e sindacati uniti nel fronte del no. Secondo il mondo imprenditoriale, un salario minimo orario sui 9 euro sarebbe troppo oneroso per i datori di lavoro, mentre per i sindacati rischierebbe di generare una fuga dai contratti collettivi, che oltre a fissare i minimi salariali prevedono trattamenti economici altrettanto importanti.
Secondo un’analisi dell’Istat, la scelta del livello del salario minimo deve contemperare due esigenze opposte. Un salario minimo troppo alto potrebbe, infatti, scoraggiare la domanda di lavoro da parte delle imprese o costituire un incentivo al lavoro irregolare, determinando un calo della tutela per le categorie più svantaggiate. Un salario minimo troppo basso, per contro, potrebbe non garantire condizioni di vita dignitose. Da ultimo, ma non meno importante, nella sua definizione è necessario tenere conto di eventuali misure di sostegno sociale, in primis il reddito di cittadinanza.
Come funziona negli altri paesi europei?
L’Italia è tra i pochi paesi europei in cui il salario minimo non è stato ancora istituit, insieme ad Austria, Danimarca, Finlandia, Svezia e Cipro. Gli importi (lordi), secondo i dati Eurostat, variano dai 1,62 euro all’ora della Bulgaria agli 11,97 euro orari del Lussemburgo. Una divergenza che riflette ampie differenze strutturali tra paesi nelle
retribuzioni medie, nella produttività del lavoro e nel potere di acquisto. Tra i paesi maggiori, Francia e Germania presentano un livello rispettivamente pari a 10 e 9 euro all’ora.
Lavoratori a rischio povertà
Nel 2017 in Europa, quasi 1 occupato su 10 è risultato a rischio di povertà, una percentuale in continuo aumento a partire dal 2010. L’aumento dei cosiddetti working poor può essere ricondotto all’estensione del part-time involontario e, più in generale, a un calo delle ore lavorate annue riconducibili al maggior ricorso a rapporti di lavoro discontinui. Questo fenomeno è presente in tutta la Ue ma in Italia risulta di maggiore intensità. Tra gli stati membri, la quota più elevata di occupati a rischio di povertà viene registrata in Romania (17,4%), mentre l’Italia si colloca in quinta posizione (12,2%). In Finlandia (2,7%) si registra il valore più basso.
Quali effetti su stipendi e imprese?
L’Istat calcola che i lavoratori per i quali un salario minimo a 9 euro all’ora comporterebbe un incremento della retribuzione annuale sarebbero 2,9 milioni, ovvero circa il 21% del totale dei lavoratori. Per questi lavoratori l’incremento medio annuale sarebbe pari a circa 1.073 euro pro-capite, con un incremento complessivo del monte salari stimato in circa 3,2 miliardi di euro. Lato imprese, l’analisi dell’Istat stima un aggravio di costo che, se non trasferito sui prezzi, porterebbe a una compressione di circa l’1,2% del margine operativo lordo e allo 0,5% del valore aggiunto.