Roma-Parigi: tensioni mai così alte dal 1940. Ma già casi Mediaset, Parmalat, Tim raccontavano il trauma italiano del dominio francese
Il vicepremier Luigi Di Maio minimizza e dalle accuse contro la Francia di Macron, con tanto di quella che ha fatto più scalpore sul neocolonialismo francese – passa a un tono più morbido, affermando che “il nostro rapporto di amicizia con il popolo francese non è in discussione”. L’incontro con i gilet gialli? Nessun problema, è stato pienamente legittimo, afferma convinto in un’intervista rilasciata al Messaggero, all’indomani della decisione di Parigi di richiamare l’ambasciatore francese in Italia.
“Il mio incontro come capo politico del M5S, con esponenti dei Gilet gialli e con alcuni candidati della lista Ric è pienamente legittimo. E rivendico il diritto di dialogare con altre forze politiche che rappresentano il popolo francese. Sono europeista. Ed essere in un’Europa senza confini, significa libertà anche per i rapporti politici,non solo per lo spostamento delle merci e delle persone”, sottolinea il leader del M5S.
Ma quello tra Roma e Parigi non sembra più un mero incidente diplomatico. Non era mai accaduto dai tempi della Seconda guerra mondiale che Parigi richiamasse il proprio ambasciatore in Italia. L’ultima volta accadde nel 1940, quando il Regno d’Italia entrò in guerra contro la Francia, consegnando la dichiarazione all’allora ambasciatore André François-Poncet.
In questo clima di alta tensione, smorzato in mattinata dalle precisazioni di Parigi, che ha definito il richiamo dell’ambasciatore “un segnale, non permanente, le dichiarazioni di Alessandro Battista non aiutano affatto:
“Più che richiamare l’ambasciatore francese in Italia, suggerisco a Macron di richiamare in Francia i dirigenti francesi che dettano ancora legge nelle banche centrali africane. Abbiamo sollevato una serie di questioni: il controllo da parte dei governi francesi delle risorse africane; il tema del Franco Cfa, moneta stampata a Lione e spedita a 14 paesi africani che toglie sovranità monetaria all’Africa; superamento di regole stupide per una nuova politica europea sull’immigrazione; consegna dei terroristi italiani ancora in Francia“.
Il premier Giuseppe Conte corre ai ripari come può, porgendo un ramoscello d’ulivo e sottolineando che il “rapporto tra Italia e Francia non è in discussione“, e che “è solido”.
Ma la crepa aperta nelle relazioni tra i due paesi rischia di diventare una voragine.
Italia-Francia: la rivalità tra i due paesi, bisogna dirlo, non è mai mancata, e attiene a ragioni culturali e storiche. Il battibecco su quale sia il paese più bello da visitare, migliore per trascorrere le vacanze e su chi vinca nel campo della gastronomia, della moda, del lusso, dell’arte, è tra le prime cose che vengono in mente ai cittadini italiani e francesi (forse più italiani), quando le loro nazioni vengono messe a confronto.
L’Italia, inoltre, non hai dimenticato il dominio francese sul proprio territorio costellato di momenti di disillusioni e orgogli feriti: come nel caso dei “giacobini” italiani, che salutarono la Rivoluzione francese come l’avvento di una nuova era che avrebbe posto fine al dominio degli stranieri in Italia e che per questo videro con entusiasmo l’avanzata di Napoleone del 1796.
Per poi scoprirlo tiranno, come accadde nel caso di altri paesi europei come Spagna e Germania. E si tratta solo di uno dei tanti esempi che potrebbero essere fatti per raccontare il rapporto Italia-Francia nel corso della storia.
Cosa dire, ancora prima, degli angioini di Carlo I d’Angiò, che approdò nel Regno di Napoli nel 1282?
Quella serie di discese francesi in Italia non è stata mai dimenticata, come se fosse incisa ormai nel Dna italiano.
E dagli inizi degli anni Novanta, la paura degli italiani verso i francesi si è rinnovata nell’arena del business, con quei pezzi di Italia verso cui Parigi ha iniziato a mostrare un interesse sempre più acceso, facendo sentire sempre di più vulnerabile il Made in Italy.
Così un articolo di Limes che risale al 4 aprile del 2018:
“Dal 1993 la Francia persegue una strategia di conquista di parti importanti dell’economia italiana con lo scopo di bilanciare la potenza industriale della Germania. A questa si aggiunge, in modo integrato, una più generale azione di influenza, corroborata dal reclutamento di decine di attori politici e funzionari italiani per allineare in posizione subordinata Roma agli interessi di Parigi. Ambedue le linee d’azione sono state recentemente rinnovate e rafforzate dalla conduzione Macron”.
A questi motivi, se ne sono aggiunti altri, acuiti in particolare con il governo M5S-Lega, sulla gestione dei migranti e sulla Tav. Di qui, le accuse recenti del vicepremier Di Maio contro il franco coloniale e la dichiarazione, secondo cui Parigi utilizzerebbe la moneta finanziare il suo debito pubblico”.
Ma oltre a Di Maio & Co, i francesi hanno fatto infuriare anche alti dirigenti italiani, proprio per quella strategia di espansione – vista come dominio – perseguita per accapparrarsi fette importanti del Made in Italy.
Anche per questo, diversi italiani hanno esultato quando il fondo americano Elliott è riuscito a battere i francesi di Vivendi, aggiudicandosi lo scorso anno la maggioranza nel cda del gruppo. I francesi di Vivendi capitanati dal finanziere bretone Vincent Bolloré sono da anni fumo negli occhi di diversi italiani.
E altri avranno esultato ancora, dopo la recente notizia, secondo cui il fondo è salito al 9,4% del capitale di TIM, puntando a scalare l’azienda italiana in vista dell’assemblea del 29 marzo. Vivendi rimane attuale primo socio con una partecipazione del 23,9%. Rivalità con la Francia a parte, non si può dire che il titolo TIM abbia beneficiato poi molto della presenza degli americani di Elliott, visto che ha testato proprio qualche giorni fa i suoi minimi storici.
Lo stesso Bolloré aveva provocato non pochi mal di pancia all’ex premier Silvio Belusconi. Pomo della discordia la guerra tra Mediaset e ancora Vivendi, scatenata dal raid di Bolloré, che in poche settimane arrivò a scalare l’azienda del Biscione, fino a rilevare una quota totale del 28,8% (con il 29,94% dei diritti di voto).
Fu l’inizio della battaglia tra la famiglia Berlusconi e il finanziere Bolloré. Battaglia in realtà doppia, combattuta su due fronti. Nel marzo del 2017, il Biscione citava in giudizio Bolloré & Co. per la mancata vendita della pay tv Premium di Mediaset a Vivendi, e dunque per “non aver rispettato l’accordo che era stato sottoscritto l’8 aprile del 2016”.
Un dossier, quello di Mediaset-Vivendi, che aveva scatenato una vera e propria ondata di polemiche a seguito non solo della decisione di Vivendi di non rispettare l’accordo e di non volere più Mediaset Premium ma anche e soprattutto per i successivi raid con cui Bollorè aveva successivamente rastrellato azioni Mediaset. Tanto che Bloomberg, nel descrivere la situazione, scriveva:
“Il presidente e maggiore azionista (del colosso francese Vivendi) fa quello che vuole” e “prende quello che vuole. Così come Telecom Italia e Ubisoft Entertainment possono attestare, il miliardario bretone ama acquistare azioni per assumere lentamente il controllo della tua società, che ti piaccia o meno”.
Fininvest presentava anche una nuova accusa contro i francesi, nel denunciare che, attraverso la scalata fino al 30% quasi del capitale di Mediaset, Vivendi aveva rotto il patto parasociale , che aveva fissato al 3,5% il limite della quota. In tutto questo, rilevante continuava a essere la sua presenza in Telecom Italia:
L’anno successivo, nell’aprile del 2018, arrivava la nota dell’Agcom:
Vivendi “ha comunicato di aver trasferito, in data 6 aprile 2018, alla società indipendente Simon Fiduciaria la titolarità di circa il 19,19% delle azioni di Mediaset (pari al 19,95% dei diritti di voto), mantenendo, di conseguenza, una partecipazione azionaria diretta inferiore al 10% dei voti esercitabili nell’assemblea degli azionisti di Mediaset”.
E quest’anno, arriva l’annuncio da cui emerge che Fininvest decide di proteggere definitivamente Mediaset da eventuali mire di Vivendi, rafforzando la propria partecipazione a oltre il 45% dei diritti di voto in assemblea. A fronte di Vivendi, che dispone di di meno del 10% delle quote Mediaset.
Altro esempio, in questo caso di conquista riuscita in Italia da parte della Francia, è quella che avviene agli inizi di dicembre del 2018, quando un pezzo importante della storia del Made in Italy, Parmalat, passa definitivamente nelle mani dei francesi di Lactalis dopo la decisione dell’azionista storico, Fondo Amber Capital di cedere una quota del 7% del capitale al colosso, permettendogli di lanciare un’Opa residuale. Il titolo Parmalat si avvia a lasciare Piazza Affari, dopo la salita di Lactalis al 95,8% del capitale.