Juan Guaidò: il giovane Obama venezuelano si proclama presidente e dichiara guerra al regime di Maduro
I venezuelani scendono in piazza, e in decine di migliaia marciano nella capitale Caracas per manifestare tutta la loro rabbia contro il presidente Nicolas Maduro. In realtà, chiamarlo presidente non è più corretto, visto che il leader dell’opposizione e leader anche dell’Assemblea nazionale, il giovane 35 enne Juan Guaidò, si è autoproclamato presidente ad interim fino a nuove elezioni democratiche.
Giurando sulla costituzione, Guaidò ha ripreso lo slogan ‘Yes We Can’ dell’ex presidente americano Barack Obama: “Sì, se puede”, ha detto. “Sì, possiamo”, dunque, blindato da quelle decine di migliaia di cittadini che hanno marciato sperando nella fine dell’era Maduro.
Una fine che ora sembra più vicina, visto che la presidenza di Guaidò è stata riconosciuta dall’America di Donald Trump, e visto che la leadership di Maduro è ormai accerchiata da tempo non solo dagli Usa, ma da diversi governi, tra cui quelli di destra di Brasile e Colombia.
Anche il Canada ha riconosciuto la presidenza del giovane parlamentare.
Immediata la reazione di Maduro, il delfino di Hugo Chavez che, affacciandosi al balcone del palazzo presidenziale, ha tuonato:
“Noi siamo la maggioranza, siamo il popolo di Hugo Chavez, siamo in questo palazzo grazie alla volontà del popolo, e solo il popolo ci potrà portare via”.
Maduro ha parlato di “colpo di Stato”, di un golpe realizzato dall’opposizione grazie al sostegno dell’America di Trump, il cui intento a suo avviso sarebbe quello di governare il Venezuela a distanza, avvalendosi di un presidente fantoccio.
Donald Trump non ha esitato a decidere da che parte stare.
“I cittadini del Venezuela hanno sofferto per troppo tempo nelle mani del regime illegittimo di Maduro – ha scritto il presidente americano su Twitter – Oggi (ieri per chi legge) ho riconosciuto in via ufficiale il presidente dell’Assemblea nazionale del Venezuela, Juan Guaido, presidente ad interim del Venezuela”.
Un sostegno a Guaidò è arrivato anche dall’Europa, con le parole del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, che ha lanciato un appello affinché “l’Europa si unisca per sostenere le forze democratiche” e che ha aggiunto che, contrariamente a Maduro, “l’Assemblea parlamentare, Juan Guaidò incluso, ha un mandato democratico conferito dai cittadini venezuelani”.
Maduro ha prestato giuramento come presidente nei primi giorni di gennaio, dopo essere stato rieletto nel maggio del 2018 con un voto che è stato contrassegnato, secondo le accuse, da brogli, frodi e violenze.
Il suo primo mandato è iniziato nel 2013, a seguito della morte di Chavez, avvenuta lo stesso anno, e dopo che lo stesso Chavez lo aveva indicato come successore.
Ma gli anni della presidenza di Maduro hanno fatto scivolare l’economia del Venezuela in una spirale di recessione e iperinflazione.
In questi anni, la Russia è rimasta un fedele alleato del paese. Basti pensare che, in occasione di un incontro che si è tenuto a Mosca lo scorso dicembre, il presidente russo Vladimir Putin ha manifestato il proprio sostegno a favore di Maduro, dopo aver permesso al paese, con una ristrutturazione di debiti del valore di $3 miliardi, di schivare la minaccia del default.
Il Venezuela ha ricevuto aiuti finanziari anche dalla Cina, che ha erogato a Caracas, dopo la visita di Maduro a Pechino, lo scorso settembre, prestiti per un ammontare di $5 miliardi.
Tutto questo, in un paese in cui i cittadini lottano quotidianamente contro i morsi della fame, e in cui riuscire a trovare sia beni di prima necessità che medicine salvavita è diventato una utopia.
Alle prese con un tasso di inflazione che, nel 2018, è stato pari all’80.000%, il Venezuela sarebbe destinato, secondo le stime diramate dal Fondo Monetario Internazionale, ad assistere a un tasso di inflazione pari a 10 milioni per cento, nel corso di quest’anno.
Inoltre, secondo l’agenzia di immigrazione delle Nazioni Unite – sottolinea il New York Times – più di tre milioni di persone hanno lasciato il paese dal 2014.
Nel suo discorso Guidò ha promesso di assumere tutti i poteri conferitigli dalla presidenza, “per garantire che venga posta la parola fine all’usurpazione” di Maduro.
Dal palazzo presidenziale Miraflores, il leader socialista ha dal canto suo rotto le relazioni con gli Stati Uniti, dando ai diplomatici americani presenti nel territorio venezuelano 72 ore di tempo per lasciare il paese. In tutta risposta, il dipartimento di Stato Usa ha diramato un comunicato in cui afferma che i diplomatici non saranno rimossi, visto che gli Stati Uniti non riconoscono il regime di Maduro come governo del Venezuela:
“Gli Stati Uniti ritengono che l’ex presidente Nicolas Maduro non abbia l’autorità legale di spezzare le relazioni diplomatiche con gli Usa o di dichiarare i nostri diplomatici persona non grata”.
Gli scontri in strada hanno provocato negli ultimi giorni più di una decina di vittime in un paese inondato di petrolio, un tempo invidiato dal Sud America, ora sempre più stremato della crisi.
Così Guaidò, ribattezzato a causa dello slogan proferito ‘Si, se puede’, come l’Obama venezuelano. Al cospetto dei manifestanti che cantavano l’inno nazionale, il giovane ha annunciato:
“Oggi, 23 gennaio 2019, giuro di assumere formalmente i poteri esecutivi in quanto presidente in carica del Venezuela”. Nell’incitare i venezuelani ad alzare la mano destra, ha continuato: “Giuriamo come fratelli di non fermarci fino a quando non avremo raggiunto la libertà”.