Rapporto Prometeia: l’Italia crescerà solo dello 0,5% nel 2019, lontane le stime di governo
Un misero +0,5%. Questo il tasso di crescita che potrebbe vedere l’Italia l’anno prossimo. Il paese dovrebbe riuscire ad evitare, tecnicamente, una recessione, ma, causa la debolezza dell’attività ereditata dal 2018 e il ridimensionamento della spinta espansiva della Manovra, il 2019 dovrebbe registrare una crescita ampiamente inferiore alle previsioni del governo. E a quella dei partner europei.
Si eviterà recessione, ma la crescita sarà misera
La previsione, decisamente poco incoraggiante, emerge dal Rapporto Prometeia, che ha tagliato le stime di crescita per il 2018 e soprattutto per il 2019. Dopo il calo nel terzo trimestre, l’Italia si appresta ad archiviare quest’anno con un Pil in rialzo dello 0,9% (lo scorso ottobre Prometeia aveva stimato un +1%): una crescita tutta conseguita nella prima parte dell’anno, con un secondo semestre praticamente fermo, che dunque lascerebbe un’eredità nulla per il 2019. E proprio per la mancanza dell’effetto trascinamento ereditato dal 2018, la crescita prevista l’anno prossimo è stata drasticamente ridimensionata a un +0,5% (da +0,9% di ottobre). A pesare sulla ripresa, sarà anche una minore spinta espansiva della Manovra, molto probabile dopo il confronto con Bruxelles.
Dunque la recessione dovrebbe essere evitata, ma l’anno prossimo sarà tutto in salita. Un contributo modesto dall’estero, pur se i prezzi del petrolio saranno in discesa, con un cambio che tenderà ad apprezzarsi, visto che dalla metà dell’anno, quando la Fed interromperà il suo processo di normalizzazione, sarà la Bce ad iniziarlo. Risultato? Una crescita per l’Italia decisamente inferiore a quella dei partner europei, che bloccherebbe la riduzione della disoccupazione.
Nel 2019 il deficit/Pil supererà il 2%
Anche il target del deficit/Pil per il 2019 sarà peggiore di quello previsto dal governo. Secondo Prometeia, sarà pari al 2,3%, perché, nonostante la revizione della Manovra per contenere il disavanzo entro il 2%, una crescita ben al di sotto di quella indicata dal governo avrà un effetto negativo sui conti pubblici. Dati i tendenziali del bilancio pubblico, su cui gravano alti tassi e bassa crescita, si prevede che il disavanzo/Pil effettivo salirà nel 2019 e non potrà scendere molto negli anni successivi, quando sarà necessario sostituire, per l’ennesima volta, la clausola Iva per evitare che il disavanzo aumenti.
20 anni per ridurre il debito al 90% del Pil
Che l’elevato debito pubblico, in rapporto al Pil il terzo fra i paesi avanzati dopo Giappone e Grecia, sia un fattore di vulnerabilità dell’economia italiana è largamente riconosciuto, specialmente perché esso si acompagna a una crescita economica che langue oramai da oltre un ventennio. L’Italia sarebbe nelle condizioni di ridurre il proprio debito pubblico al di sotto del 90% del Pil su un orizzonte di 20 anni. Per farlo avrebbe bisogno però di un programma fiscale e di riforme di medio periodo, sostenuto dall’Europa. Un’analisi di simulazione Prometeia supporta l’impostazione di allineare i rendimenti sul debito italiano a quelli di Francia e Germania, come d’altra parte avvenuto dall’avvio dell’Unione monetaria fino alla crisi finanziaria e dei debiti sovrani. La repentina riduzione dello spread intorno a 30 punti base implicherebbe una riduzione di debito decisamente più marcata. Rispetto allo scenario base, si risparmierebbero mediamente 22 miliardi di spesa per interessi ogni anno, che andrebbero interamente a ridurre il disavanzo e il debito. Minore spread implica anche un migliore contesto macroeconomico: meno incertezza e tassi più bassi favoriscono la crescita degli investimenti e dei consumi delle famiglie. Le positive ricadute sul Pil renderebbero fattibile l’opzione di redistribuire, in tutto o in parte, i benefici dovuti al minore spread, scegliendo di destinarli al sostegno dell’economia, implementando le numerose riforme strutturali di cui l’Italia ha bisogno.