TIM: per il post Genish spuntano nomi Altavilla e Gubitosi. Focus su piano Di Maio: quali conseguenze sui consumatori?
TIM sotto i riflettori, dopo l’ennesimo colpo di scena che ha interessato la società. Il cda a maggioranza Elliott ha dato il benservito all’AD Amos Genish, inaugurando l’ennesima nuova fase. L’attesa è per domenica 18 novembre, quando lo stesso consiglio di amministrazione nominerà il successore del Ceo che è rimasto al timone per 14 mesi e che, stando a quanto riporta La Repubblica, andrà via con 4 milioni.
Genish dovrà rinunciare però al piano di incentivi composto da 30 milioni di azioni gratuite.
In queste ore, nel pieno del toto-nomine, si fanno i nomi di Alfredo Altavilla, considerato il più papabile ad assumere le redini del gruppo, affiancato da Stefano De Angelis, ex amministratore delegato di Tim Brasil, nelle vesti di nuovo direttore generale.
Come scrive Repubblica Altavilla, che è “l’ex braccio destro di Sergio Marchionne, ha il difetto di non essere esperto di telefonia, mentre De Angelis ha il pregio di essere un manager stimato sia all’esterno sia all’interno di Tim”.
Nella girandola di rumor, viene riportato anche che i francesi di Vivendi, che rimangono primo azionista di Telecom con una quota del 23,9%, starebbero cercando di contrattaccare dando il loro sostegno alla candidatura di Luigi Gubitosi.
Dal canto suo Genish, in un’intervista rilasciata a La Stampa, si è sfogato parlando di un putsch sovietico nei suoi confronti. L’ormai ex amministratore delegato ha sicuramente pagato le sue posizioni sulla separazione della rete TIM.
Genish si è sempre mostrato contrario, infatti, alla perdita di controllo dell’infrastruttura da parte della società. Qualche giorno fa si era così espresso:
“Tim è favorevole alla creazione in Italia di un singolo network di Rete per evitare inutili duplicazioni di investimenti infrastrutturali e siamo aperti a possibili collaborazioni con Open Fiber”.
Detto questo, “l’azienda rimane convinta che Tim rimanga il soggetto tenuto a controllare la Rete in Italia, come avviene in tutti gli altri Paesi. Solo mantenendo il controllo della Rete potremo garantire gli attuali livelli di investimenti e occupazionali. Ogni tentativo di separazione proprietaria della Rete non porrebbe solo a rischio il futuro aziendale di Tim, ma anche lo sviluppo digitale del Paese”.
Lo spin-off invece è una misura caldeggiata dal fondo Elliott, il cui piano ha sempre previsto la cessione della rete fondendola con Open Fiber con il modello rab, la remunerazione degli investimenti sulla base di dati coefficienti come avviene per le società energetiche Terna e Snam. In base a tale modello, Tim non potrebbe però detenere il controllo della rete.
Riguardo alla cacciata di Amos Genish, i francesi di Vivendi non hanno fatto nulla per nascondere la loro irritazione, definendo il comportamento di Elliott “una mossa molto cinica e pianificata volontariamente in segreto per destabilizzare e influenzare i risultati della società”.
“Denunciamo la destabilizzazione di questa decisione e il metodo vergognoso”, ha detto Vivendi attraverso un portavoce.
Secondo il fondo Elliott di Paul Singer, invece, Genish è stato sfiduciato per non aver portato a casa risultati concreti per la compagnia telefonica.
“Genish – si legge nella nota del fondo – ha avuto l’opportunità di creare valore e Elliott lo ha supportato. Nella realtà non sono stati fatti reali progressi e, al contrario, ha dimostrato di rappresentare un impedimento per la creazione di valore” perchè durante il suo mandato il rendimento per gli azionisti è stato pari a -33,5%. Per questa ragione il consiglio ha deciso di lasciarlo andare”.
Ancora, il fondo ha affermato che “Genish ha fatto parte dello screditato regime di Vivendi e sebbene non fossimo stati preventivamente informati di questa decisione del consiglio, sosteniamo la revoca. Il Consiglio di amministrazione ha ora l’opportunità di fare la cosa giusta e di agire nel migliore interesse di tutti gli stakeholder, adottando le proposte del piano di Elliott per la creazione di valore”.
Ma, a questo punto, cosa riserva il futuro per TIM? Molto dipende dal futuro della rete. La sua separazione ci sarà o no? Così La Repubblica descrive il retroscena del dossier TIM, facendo riferimento alle dichiarazioni che il vicepremier pentastellato e ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio ha rilasciato nel corso della trasmissione “Non è l’Arena”.
Così il ministro:
“Stiamo lavorando per creare le condizioni affinché si crei un unico player italiano che permetta la diffusione per tutti i cittadini di internet e banda larga”, ha detto Di Maio – stando a quanto ha fatto notare La Repubblica nell’articolo firmato da Giovanni Pons – , riferendosi a un possibile matrimonio tra Tim e Open Fiber.
Di Maio ha detto anche di credere che “entro la fine dell’anno anche il dossier Tim vada chiuso“.
Obiettivo realizzabile? Intanto Pons ricorda che “di un possibile scorporo della rete da Telecom, ora Tim, si parla almeno dal 2006, cioè dal famoso piano Rovati con cui il governo Prodi tentò l’affondo sull’azienda allora governata da Marco Tronchetti Provera”.
In questa situazione, “che Di Maio riesca a risolvere l’annosa questione in due mesi sembra quantomeno ottimistico”.
Basta inoltre già il titolo dell’articolo a dare un’idea dei rischi che, secondo La Repubblica, sarebbero legati alla realizzazione del progetto del vicepremier.
Il titolo, infatti, recita: “La politica vuole la rete ma saranno i consumatori a pagare l’infrastruttura”.
Viene fatto notare che è difficile che la fusione con Open Fiber avvenga entro la fine dell’anno e che esista tra l’altro il rischio di “tariffe più alte per remunerare gli investimenti”.
In questo modo, gli investimenti “in pratica verrebbero pagati a rate dagli utenti con un aumento dei prezzi e di sicuro questo non farà piacere ai consumatori che sono anche elettori”.