Credit crunch, Unimpresa: crollano prestiti a imprese. Con manovra e spread credito a rischio. Occhio ai mutui
I dati confermano uno dei peggiori scenari per l’economia italiana, e si riassumono in una espressione tristemente nota: credit crunch. Ovvero, contrazione del credito, letteralmente. Ovvero, decisione delle banche di, se non chiudere, comunque stringere di più i rubinetti del credito. Ebbene, questo fenomeno è già in atto e, a certificarlo, è il Centro Studi di Unimpresa.
“Prosegue senza sosta il credit crunch per le aziende italiane: i prestiti delle banche alle imprese, nel corso dell’ultimo anno, sono calati di quasi 40 miliardi di euro (-5,29%) nonostante l’aumento di 1,5 miliardi dei finanziamenti a medio termine. A pesare sul calo è la diminuzione di 18 miliardi dei finanziamenti a breve e di 22 miliardi di quelli di lungo periodo. In aumento di 6,2 miliardi, invece, i prestiti alle famiglie, spinti dal credito al consumo (+7,3 miliardi) e dai mutui (+4,5 miliardi), comparti che hanno compensato il calo registrato sul fronte dei prestiti personali (-5,6 miliardi). In totale, lo stock di impieghi al settore privato è diminuito di 32 miliardi, passando da 1.356 miliardi a 1.324 miliardi: oltre 3 miliardi al mese in meno ad aziende e cittadini”.
I numeri sono contenuti per l’appunto nel rapporto mensile sul credito di Unimpresa che ha comunque messo anche in evidenza un fattore positivo: negli ultimi 12 mesi, da agosto 2017 ad agosto 2018, le rate non pagate (sofferenze) sono calate: nell’ultimo anno si è registrata una diminuzione di quasi 50 miliardi (-27,40%) da 172 miliardi a 125 miliardi.
Riguardo invece all’impatto che la legge di bilancio del governo M5S-Lega potrà avere sul comparto bancario, laddove prevede oneri fiscali per gli istituti di credito e anche per le assicurazioni, la nota spiega che “le misure fiscali allo studio del governo, contro le banche, possono creare problemi al motore del credito”.
Il punto è che “più tasse ai gruppi bancari, già alle prese con le tensioni sullo spread, si traducono gioco forza in una restrizione dei finanziamenti. E’ in ogni caso opportuno rivedere i criteri con i quali le banche erogano il denaro alle micro, piccole e medie imprese. Gli attuali parametri, che sono il risultato di un lungo e farraginoso processo di regolamentazione, che ha prodotto restrizioni eccessive per gli istituti bancari, vanno rivisti profondamente”.
Cosa fare, dunque, per migliorare la situazione?
“Un primo sforzo, a nostro avviso, dovrebbe arrivare da chi è dentro il sistema finanziario. Si tratta di valutare le richieste di prestiti, specie da parte delle aziende, entrando nel merito dei progetti presentati ed evitando di portare in delibera, domande di credito sulla base dei semplici dati di bilancio. Informazioni, quelle contabili, che certamente non vanno né possono essere ignorate, ma vanno valutate in un mix più ampio”, commenta il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci.
Andando a esaminare i dettagli, “secondo il rapporto dell’associazione, basato su dati della Banca d’Italia, il totale dei prestiti al settore privato è calato nell’arco dell’ultimo anno, da agosto 2017 ad agosto 2018, di 32,4 miliardi (-2,41%) passando dai 1.356,9 miliardi di agosto 2017 ai 1.324,2 miliardi di agosto 2018. Nel dettaglio, è calato di 38,8 miliardi (-5,29%) lo stock di finanziamenti alle imprese passati da 735,2 miliardi a 696,4 miliardi: in particolare, sono calati di 18,1 miliardi (-7,49%) da 242,7 miliardi a 224,6 miliardi i crediti a breve termine (fino a 1 anno); giù di 22,1 miliardi (-6,70%) i prestiti di lunga durata (oltre 5 anni) scesi da 330,6 miliardi a 308,5 miliardi; sono invece cresciuti lievemente di 1,4 miliardi (+0,90%) i finanziamenti di medio periodo (fino a 5 anni) passati da 161,8 miliardi a 163,2 miliardi. Risultano complessivamente in aumento di 6,2 miliardi (+1,00%) i prestiti alle famiglie, passati da 621,6 miliardi a 627,8 miliardi: in particolare, è salito di 7,3 miliardi (+7,92%) il credito al consumo (denaro concesso per acquistare elettrodomestici, automobili, televisori e smartphone) passato da 92,8 miliardi a 100,1 miliardi; in aumento anche i mutui di 4,5 miliardi (+1,21%), saliti da 372,4 miliardi a 376,9 miliardi; in calo, invece, i prestiti personali, scesi di 5,6 miliardi (-3,60%) da 156,3 miliardi a 150,7 miliardi”.
Oltre allo studio di Unimpresa, diversi sono stati gli allarmi lanciati sulle banche nelle ultime ore, e da più parti, in riferimento all’impennata dello spread. Così ad A&F Giampaolo Galli, economista e vicedirettore dell’Osservatorio dei conti pubblici, ha messo in evidenza tutto il danno che lo spread farebbe alle banche. Affari & Finanza ha pubblicato a tal proposito in anteprima un report stilato dall’Osservatorio dei conti pubblici diretto da Carlo Cottarelli, di cui autore è stato proprio Galli:
“A scanso di equivoci non aumentano le rate dei mutui già stipulati a tasso variabile che sono tipicamente legate all’Euribor che è un tasso europeo, poco influenzato dalle vicende di un singolo Paese. Ma aumenta il costo per i nuovi mutui, sia a tasso fisso che variabile, e cresce il costo dei finanziamenti alle imprese”.
Inoltre:
“una regola di matematica finanziaria dice che quando aumentano i tassi d’interesse il valore dei titoli diminuisce. Dato che i titoli di Stato rappresentano circa il 10% per cento dell’attivo delle banche (364 miliardi secondo Bankitalia), all’aumentare dei tassi si erode il loro patrimonio, il che – continua Galli – in base alle regole prudenziali internazionali, le obbliga a ridurre il credito“. (e qui c’è la ‘testimonianza’ per l’appunto del Centro studi di Unimpresa).
Inoltre alle banche tocca bussare alle porte del mercato, per ricapitalizzarsi. Porte che sicuramente non si aprono facilmente visto che, proprio a causa degli effetti dello spread sulle banche, i titoli bancari vedono (come è già accaduto) i loro valori zavorrati dai sell off, e ciò rende più costosa l’operazione di aumento di capitale.
Viene ricordato nell’articolo di A&F che da metà maggio l’indice dei titoli bancari (italiani) ha perso oltre il 33%.
“Il rapporto stima – si legge ancora – che in media 100 punti base di spread riducano la capitalizzazione delle prime cinque banche italiane di 13,6 miliardi. Per di più, la manovra comprende nuovi oneri fiscali per le banche (e le assicurazioni) di 3-4 miliardi. Come se non bastasse il 26 ottobre inizia la raffica di rating delle agenzie, che la maggior parte degli economisti prevede al ribasso fino a sfiorare il livello junk. Infine il 2 novembre lo European Banking Authority comunica i risultati degli stress test, quest’anno resi più insidiosi da nuovi standard e parametri”.