Lavoro e precarietà: contratti a termine diffusi al Sud, nell’agricoltura e nel turismo. Ma nel resto d’Europa è peggio
La precarietà del lavoro è più diffusa al Sud e interessa soprattutto i settori dell’agricoltura, del turismo e del commercio. Ma se si guarda agli altri paesi d’Europa, ecco che emerge un po’ a sorpresa come sia inferiore al dato medio dell’area euro. A dirlo è l’ufficio studi della Cgia che ha costruito l’identikit degli oltre 3 milioni di lavoratori presenti in Italia con un contratto a termine.
I dati relativi al primo semestre di quest’anno indicano una crescita del peso degli occupati a tempo determinato che
ha raggiunto il 16,6% sul totale degli occupati dipendenti. In termini assoluti si contano quasi 3 milioni di lavoratori a termine (per la precisione 2.964.000). Al contrario, gli occupati a tempo indeterminato risultano in flessione. La ragione starebbe nell’andamento della crescita ancora troppo modesto. “Con variazioni del Pil molto contenute, infatti, non possiamo che ottenere una cattiva occupazione che abbassa la produttività complessiva del lavoro e conseguentemente anche i salari pro capite”, spiega il coordinatore dell’ufficio studi Paolo Zabeo. Secondo lo studio, per aumentare il numero dei lavoratori a tempo indeterminato e abbassare quindi la precarietà del lavoro in Italia, occorrerebbe tornare a crescere a livelli superiori al 2 per cento.
Al Sud la precarietà è maggiore
A livello geografico, l’incidenza percentuale di questi lavoratori a termine sul totale dei dipendenti occupati nel Paese ha raggiunto il 19,3 per cento nel Sud Italia, contro il 14,8% del Centro e il 13,7% del Nord. A livello regionale la soglia più significativa la si rileva in Calabria (21,8%), in Sicilia (21,3%) e in Puglia (20,7%). Mentre il Piemonte (12,8 per cento) e la Lombardia (11,3 per cento) sono i territori meno interessati da questa problematica. In termini assoluti, invece, la regione con il maggior numero di lavoratori con un contratto a termine è la Lombardia (394.200).
Agricoltura, turismo e commercio i settori più precari
I settori dove si registrano le quote più elevate di precari sul totale occupati sono quelli dove è maggiore la stagionalità. In agricoltura, ad esempio, la percentuale è pari al 60,5% e nel commercio e negli alberghi/ristoranti è al 22,5%. Significativa anche l’incidenza nel settore delle costruzioni (16,6 per cento) e nei servizi alla persona/imprese (12,3 per cento). Chiude il comparto dell’industria/artigianato dove la quota è all’11,8 per cento. In termini assoluti, invece, il macro-settore più coinvolto è quello dei servizi (1.130.800 unità).
I giovani sono quelli più a rischio
La fascia di età dove la presenza di questi lavoratori flessibili è maggiore è quella giovanile (15-34 anni). La quota sul totale degli occupati presenti in questo range di età è infatti pari al 34,1 per cento. In quella tra i 35-64 anni è il 9,6 per cento e tra gli over 65 è il 7,8 per cento. In termini assoluti, ovviamente, è la fascia anagrafica tra i 35 e i 64 a registrarne il maggior numero: 1.272.200 unità
In Europa solo la Germania sta meglio
Se si confronta il dato italiano con il resto d’Europa però, la situazione non è così disastrosa. Se nel 2017 la quota di precari in Italia si è attestata al 15,4%, emerge che questa percentuale è quasi 1 punto in meno della media dell’area euro (16,2 per cento) e ben al di sotto del dato registrato in Francia (18 per cento), nei Paesi Bassi (21,8 per cento) e in Spagna (26,6 per cento). Tra i principali paesi europei, solo la Germania presenta una incidenza inferiore a quella italiana (12,8 per cento).