Governo vara decreto dignità: stretta su contratti a termine e delocalizzazioni. Di Maio: ‘E’ la fine del Jobs Act’
Aumento indennizzo per i licenziamenti ingiusti; stretta sui contratti a termine, la cui durata scende da 36 a 24 mesi, nel caso di presenza di causale; senza, invece, la durata massima viene tagliata a un anno.Arriva il decreto dignità a firma Luigi Di Maio. Il vice premier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, lo annuncia parlando di “Waterloo del precariato”.
Il decreto, primo provvedimento ufficiale del governo M5S-Lega, comporta nuove norme sui licenziamenti e sui precari e multe alle aziende che delocalizzano entro 5 anni dagli investimenti.
“E’ la fine del Jobs Act”, annuncia un trionfante Luigi Di Maio, che in giornata aveva già commentato i dati sull’occupazione arrivati dall’Istat, definendoli “un record di precariato e non di occupazione”.
L’indennizzo per i licenziamenti senza giusta causa aumenta del 50%.
Sui contratti a termine, scende non solo la durata ma anche il numero dei rinnovi, tagliato da 5 a 4. Aumenta inoltre da 120 a 180 giorni il termine entro cui è possibile impugnare il contratto, anche se la prima versione del decreto dava ancora più tempo, fino a 270 giorni.
L’adozione dei contratti a termine sarà soggetta inoltre a un costo contributivo crescente di 0,5 punti per ogni rinnovo a partire dal secondo.
L’indennità da corrispondere al lavoratore ingiustamente licenziato viene aumentata da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mesi fino ad un minimo di 6 a un massimo di 36 mesi.
Partorire il decreto dignità non è stato affatto semplice, a causa del problema delle coperture, su cui il ministro dell’economia Giovanni Tria aveva insistito. Di conseguenza, la versione finale del decreto risulta annacquata rispetto a quella iniziale. Per esempio, sono meno severe le norme sulle delocalizzazioni, che non verranno applicate ai contratti già esistenti, e l’abolizione dello split payment interessa solo i professionisti.
A tal proposito, il pacchetto anti-delocalizzazione prevede che le imprese italiane ed estere operanti in Italia, e che abbiano ricevuto soldi pubblici, perdano il beneficio se delocalizzano in stati non appartenenti all’Unione Europea entro cinque anni dalla data di conclusione dell’agevolazione.
Prevista anche una sanzione da due a quattro volte l’importo dell’aiuto ricevuto. Tale sanzione non viene applicata alle imprese che trasferiscono le loro attività in un paese membro dell’Unione europea.
Sicuramente, si va verso la semplificazione del fisco. Si stabilisce di rivedere il “redditometro in chiave di contrasto all’economia sommersa” e viene rinviata la “scadenza per l’invio dei dati delle fatture emesse e ricevute (spesometro)”. In particolare, “i dati di fatturazione relativi al terzo trimestre del 2018 possono essere trasmessi telematicamente all’Agenzia delle Entrate entro il 28 febbraio 2019, anziché entro il secondo mese successivo al trimestre”.
Ancora sul redditometro, questo “non ha più effetto per i controlli ancora da effettuare sull’anno di imposta 2016 e successivi”.
Addio inoltre allo split payment “per i servizi resi alle Pubbliche amministrazioni dai professionisti i cui compensi sono assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta o a titolo di acconto”. L’addio è dunque limitato, come detto sopra, solo ai professionisti.
Il decreto dignità adotta anche la politica del contrasto alla ludopatia: viene sancito il divieto di pubblicità per giochi e scommesse con vincite in denaro, ma i contratti già esistenti sono salvati dalle disposizioni.
Escluse inoltre dal divieto le lotterie nazionali a estrazione differita e i loghi sul gioco sicuro e responsabile dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli.