Alert Corte Conti su rottamazione cartelle: mancano 9,6 mld. Apertura verso reddito cittadinanza
Non sono confortanti le notizie che arrivano dalla Corte dei Conti, soprattutto riguardo all’esito della rottamazione delle cartelle fiscali. Stando a quanto la magistratura contabile riporta nella Relazione sul rendiconto generale dello Stato, mancano all’appello ben 9,6 miliardi. Si tratta di mancati versamenti nelle casse del Fisco. Il fenomeno viene riscontrato in un contesto, quello italiano, in cui permangono “fragilità”, a fronte di un quadro macroeconomico in “peggioramento”.
“I più recenti indicatori sulla congiuntura internazionale e italiana” riflettono un “peggioramento del quadro generale. In particolare sembra da osservare con attenzione l’evidente flessione delle nostre esportazioni“, si legge nella relazione.
Dalla finanza pubblica emergono “indicazioni positive, ma anche elementi critici connessi sia al quadro internazionale, che a nuove fragilità sulle tendenze di medio-lungo termine dei nostri conti pubblici”.
I “fattori di incertezza”, in generale, sono “numerosi”, scrive la Corte dei Conti. Il riferimento è sia alle tensioni commerciali e ai relativi timori di una guerra commerciale, a causa di politiche economiche Usa improntate alla logica del protezionismo e, sempre a livello internazionale e più propriamente europeo, alla fine del programma di Quantitative easing della Bce, che ha dato un assist ai bond italiani, e la cui fine è stata sancita nell’ultima riunione della banca centrale.
A livello nazionale, la Corte dei Conti fa riferimento all’insuccesso del rilancio degli investimenti pubblici, facendo riferimento inoltre alla “precarietà dell’assetto di un sistema fiscale che in quest’ultimo decennio di urgenze e di emergenze è stato sottoposto a stress continui, che ne hanno offuscato i principi ispiratori”.
Tornando alla rottamazione delle cartelle, inevitabile la “preoccupazione” per le condotte fiscali:
“A fronte di un ammontare lordo complessivo dei crediti rottamati di 31,3 miliardi, l’introito atteso per effetto della rottamazione” introdotta con le norme del 2016 “ammonta a 17,8 miliardi”. Di tale importo sono stati riscossi nei termini “solo 6,5 miliardi, comprensivi degli interessi per pagamento rateale. A tale somma introitata deve aggiungersi la parte rateizzata ancora da riscuotere pari a 1,7 miliardi comprensivi di interessi. Pertanto, dei 17,8 miliardi previsti a seguito delle istanze di definizione pervenute, 9,6 miliardi non sono stati riscossi o costituiscono versamenti omessi”.
La Corte dei Conti torna a lanciare, alla luce di un previsto peggioramento dell’economia e delle incertezze globali, un monito sulla necessità di tenere sotto controllo i conti pubblici. In particolare, in occasione del giudizio di parificazione sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2017, il presidente Angelo Buscema sottolinea che, “dopo la lunga crisi conosciuta dal nostro Paese, la tutela della finanza pubblica, a cui la Corte è chiamata a contribuire, si identifica in buona parte con l’esigenza di ricondurre il debito pubblico su un sentiero di sicura sostenibilità e di recuperare la crescita in termini di prodotto interno lordo”.
Anche perchè “un eccessivo livello di debito limita la capacità progettuale di medio e lungo periodo con riflessi sui tassi di interesse e sulla complessiva stabilità finanziaria del Paese: in definitiva sulle sue potenzialità di crescita”.
E’ dunque necessario selezionare attentamente e in modo scrupoloso gli interventi di spesa, tenendo bene in considerazione le risorse a disposizione:
“E’ anche mediante interventi sulla qualità della spesa, oltre a quelli altrettanto importanti che mirano alla sua riduzione, che è possibile incidere concretamente sulla ripresa – continua Buscema – Ne consegue la necessità di una scrupolosa selezione delle misure e degli strumenti su cui far leva per l’azione di politica economica e di bilancio, in un contesto internazionale, come quello attuale, attraversato da difficili equilibri, cambiamenti e nuove sfide”.
Insomma, la Corte dei Conti sottolinea che “si rafforza la necessità di effettuare scelte molto caute e interventi di politica economica selettivi”.
A tal proposito, la magistratura contabile apre comunque alla proposta chiave del M5S di Luigi Di Maio, ovvero al reddito di cittadinanza: ancorare l’intervento al mondo del lavoro rappresenta “un nuovo diritto” e “un significativo contributo” per quelle fasce di popolazione che versano in condizione di maggiore difficoltà. Allo stesso tempo, “sarebbe bene ricordare a tutti anche l’esistenza, altrettanto importante quanto sovente dimenticata, dei doveri di cittadinanza“.
Attenzione inoltre alla spesa per le pensioni.
C’è da dire che “i vincoli posti, da un lato, in termini di equilibrio dei bilanci e di razionalizzazione (per amministrazioni locali e spesa sanitaria) dall’altro, in termini di effetti dei diversi interventi di riforma delle pensioni (per gli enti di previdenza), i dati più recenti evidenziano miglioramenti decisivi”.
Ma il presidente di coordinamento delle sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei Conti Ermanno Granelli fa notare anche che, “nel 2017 la pur limitata dinamica espansiva della spesa pubblica è per intero attribuibile al sottosettore degli Enti di previdenza, con un aumento della spesa totale dell’1,5%, che comunque vedono drasticamente ridotto il ritmo di crescita che nel periodo 2000 -2009 aveva superato il cinque percento medi. Ormai da alcuni anni l’indebitamento netto del conto delle amministrazioni pubbliche (39,7 miliardi nel 2017) è per intero imputabile alle amministrazioni centrali dello Stato, poiché i conti delle amministrazioni locali e quelli degli enti di previdenza presentano un saldo attivo che nel 2017 è risultato, rispettivamente, di 677 milioni e di 2,3 miliardi a fronte di un disavanzo delle amministrazioni centrali di 42,7 miliardi”.
Immediata la reazione dell’Anci che afferma come la relazione sul rendiconto generale dello Stato presentata dal presidente della Corte dei Conti Angelo Buscema, confermi che, anche nel 2017, la flessione più forte della spesa pubblica ha interessato le amministrazioni locali (calo pari a -0,7%). I soli comuni, viene messo in evidenza, sono stati colpiti con tagli alla spesa per un valore di 9 miliardi e con restrizioni finanziarie per 3 miliardi nella fase più dura della crisi, compresa tra il 2011 e il 2015.
Di conseguenza, l’Anci indica il rischio di caduta delle capacità di fornire servizi adeguati nei territori e invoca il ritorno dell’autonomia dei Comuni sulle decisioni che riguardano le entrate e le spese:
“Abbiamo fatto la nostra parte nel risanamento, in molti casi oltre i limiti della sostenibilità. È ora di riprendere la strada di una forte e responsabile autonomia, anche nel campo della fiscalità, semplificando regole finanziarie e amministrative sempre più intricate. La risposta a queste istanze permetterà di liberare energie e competenze nei territori a vantaggio dello sviluppo del Paese”.