Spunta proposta M5S per Economia: Pierluigi Ciocca, economista del cambio lira-euro a favore moneta unica
Economista italiano nato a Pescara, vicedirettore generale di Bankitalia dal febbraio del 1995 fino al dicembre del 2006: Pierluigi Ciocca, classe 1941, ha alle spalle un’esperienza presso Bankitalia di ben 40 anni. In queste ore concitate un cui il suo nome viene proposto dal M5S per il dicastero dell’Economia, dopo il no del Colle all’ipotesi di Paolo Savona a Via XX Settembre, e mentre si riapre l’ipotesi del governo M5S-Lega e il leader della Lega Matteo Salvini sembra mostrare qualche segnale di apertura, l’attenzione è tutta sul suo pensiero.
Quel è l’impostazione di Ciocca sui temi più sensibili agli italiani, come l’euro, le tasse, la crescita dell’economia, i rapporti con l’Europa?
Pierluigi Ciocca viene indicato da molti come l’uomo del cambio lira-euro, visto che dal 1997 al 2002 ha rappresentato Bankitalia nel Comitato per l’euro presso il Ministero del Tesoro.
Per capire il suo credo, vale la pena leggere l’articolo che lui stesso ha scritto per Il Sole 24 Ore, quotidiano per cui collabora:
Nell’editoriale “Scacco al dopo-crisi in sette mosse”, Ciocca propone sette ricette per risolvere le vulnerabilità che affliggono l’economia italiana.
“Affinché si torni alla crescita occorre il concorso di almeno sette sviluppi nella politica economica e istituzionale, interna ed europea: eventi che contemporaneamente sostengano la domanda globale, consentano e promuovano la produttività”.
Prima mossa:
“Il disavanzo di bilancio va azzerato, e quindi il debito pubblico bloccato“. Ciocca propone “una severa revisione, politica e non solo contabile, delle spese gonfiate da trasferimenti inutili, inefficienze, corruzione, sottoutilizzo del formidabile potere monopsonistico della Pa nelle forniture e negli appalti; un colpo duro inferto all’evasione (secondo proposte quali quelle avanzate, e in passato praticate, dal ministro Visco); il ritorno stesso alla crescita. La spesa pubblica aggredibile è dell’ordine del 15% del Pil (250 miliardi di euro) – scrive – l’evasione – concentrata presso i produttori e nel sommerso – è da alcuni anni in aumento verso i 150 miliardi (9% del Pil). Da un quarto del prodotto la classe politica deve ottenere i due punti percentuali necessari a pareggiare i conti pubblici”.
Seconda mossa:
“Gli investimenti in infrastrutture costituiscono l’unica misura di bilancio capace di sostenere tanto la domanda quanto la produttività. Caduti a meno del 2% del Pil (da 54 miliardi nel 2009 a 33 lo scorso anno), sono da riportare a oltre il 3% del Pil, pianificandone per tempo la migliore attuazione secondo una precisa scala di priorità economico-sociale. Il loro moltiplicatore della domanda (1,2/1,5) è doppio rispetto a quello dei consumi pubblici, dei trasferimenti, della detassazione. Come chiarito da Keynes, in larga misura si autofinanziano”.
Terza mossa:
“Il diritto dell’economia dev’essere ripensato in modo organico e ampiamente riscritto. L’ordinamento attuale appesantisce i costi del produrre e frena la produttività”.
Quarta mossa:
“È cruciale promuovere la concorrenza, soprattutto quella dinamica. Come insegna Schumpeter, la concorrenza a colpi d’innovazioni, ancor più della stessa concorrenza attraverso i prezzi, è il propellente della “distruzione creatrice”, della riallocazione delle risorse, dello sviluppo capitalistico”.
Quinta mossa:
“Dev’essere avviata a correzione una distribuzione altamente sperequata dei redditi, dei patrimoni e soprattutto delle opportunità individuali. Al di là dei profili morali e d’equità, i cittadini svantaggiati sono esclusi dal contribuire al progresso del Paese, specialmente al Sud”.
Sesta mossa:
“Urge una strategia per il Sud”. A tal proposito, Ciocca definisce il Meridione “potenziale Florida d’Europa”, segnalando che “il moltiplicatore degli investimenti pubblici (1,9) è maggiore al Sud che nella media italiana”.
Settima mossa:
La settima mossa è quella che, in queste ore, il leader della Lega probabilmente starà monitorando in modo particolare, visto che a essere affrontato, è il tema dell’euro. E’ anche la parte in cui Coccia dimostra di non essere ossessionato dal rigore dei conti pubblici. O meglio, in cui afferma che in Eurozona l’attuale “rigore alla Hayek” deve essere sostituito il rigore alla Keynes”.
Dunque: “equilibrio di bilancio, sì, ma unito a investimenti pubblici utili, cospicui e capaci di autofinanziarsi, ammettendo la golden rule per la loro copertura con debito all’avvio”.
“Il problema non è l’euro – scrive l’economista – L’euro è un’ottima moneta. È anche internazionalmente domandata. Ha assicurato il bene della stabilità dei prezzi, unito a bassi tassi dell’interesse. Il problema è nel governo dell’economia dell’Euroarea, nell’impostazione di fondo della sua politica economica, a cominciare da quella tedesca. Dal 1999 al 2016 il Pil della Germania è progredito solo dell’1,4% l’anno, un punto meno del potenziale, infliggendo al popolo tedesco un “mancato guadagno” per centinaia di miliardi e frenando l’intera Euroarea. La domanda interna della Germania (+1,1% l’anno) ha patito il taglio degli investimenti pubblici, con scadimento delle infrastrutture. Il sostegno al Pil è quindi provenuto dalle esportazioni nette (+8% del Pil), a scapito della domanda globale negli altri Paesi. Questo neomercantilismo si è tradotto in un attivo nella posizione netta verso l’estero della Germania, giunto nel 2017 a sfiorare il 60% del Pil: 2.000 miliardi di dollari, come la Cina, poco meno del Giappone. L’attivo conferisce alla Germania creditrice una leva politica in stridente contrasto con l’Unione europea tra pari che vogliamo. Il punto chiave è che Keynes non è affatto lo spendaccione inflazionista considerato da chi l’ha studiato su mediocri manuali, non ha letto i suoi scritti o non li ha compresi. Keynes aborriva i disavanzi pubblici di parte corrente, lo “scavare le buche”, il debito dello Stato”.
Basteranno le sette “cose”, qualora un governo le realizzasse? – si chiede Ciocca – Sì, basteranno, se le imprese italiane, sollecitate dalla concorrenza in un contesto reso meno sfavorevole, sapranno rispondere alla sfida”.
Il Colle intanto aspetta e concede più tempo al M5S e alla Lega dopo la proposta di Luigi Di Maio: un governo giallo-verde affidato alla premiership di Giuseppe Conte con Paolo Savona a un dicastero che sia diverso da quello dell’Economia.
Da Matteo Salvini arriva qualche segnale di apertura e il suo ufficio stampa conferma che il leader della Lega è a Roma per la trattativa sul governo, e che l’agenda dell’intera giornata è stata annullata.
Ultima chance, dunque, per formare un governo politico: se sarà di nuovo flop, entrerà nella scena del teatrino italiano il governo di Carlo Cottarelli, che difficilmente otterrà la fiducia del Parlamento.
A quel punto, Cottarelli avrà il compito di gestire semplicemente gli affari correnti, in attesa del ritorno degli italiani alle urne.
A questo punto tutto dipende da Salvini: riuscirà il leader del Carroccio a mollare la presa sul nome di Paolo Savona per il dicastero dell’economia?
In realtà, proprio quello che è stato definito un vero e proprio Pomo della discordia che ha fatto saltare in aria la prima ipotesi di un governo M5S-Lega, sembra essere, in parte, rientrato. Spunta infatti proprio il nome dell’ex vicedirettore generale di Bankitalia Pierluigi Ciocca per Via XX settembre.
Savona potrebbe andare agli Esteri, oppure, in base a quanto trapela da indiscrezioni stampa, un’altra soluzione potrebbe essere quella di dividere addirittura il Mef in due ministeri, dell’Economia e delle Finanze, con Savona che potrebbe presiedere uno dei due rami.
Così ha illustrato la propria proposta il leader M5s, Luigi Di Maio, nel corso dell’assemblea congiunta dei parlamentari 5 Stelle riunitasi ieri, a Montecitorio. “Non vorrei buttare 85 giorni di lavoro. Stiamo provando tutte le soluzioni possibili”.
“Ho proposto pubblcamente a Salvini di lasciare Savona nella squadra di governo, perché lo stimiamo, ma in un’altra posizione ministeriale ma se questo non accade allora si vada a votare ma il prima possibile. È inutile stare qui a perdere tempo perché quello che ho cercato di spiegare anche domenica a tutte le istituzioni è stato: noi ci ritroviamo nella XIX legislatura con una configurazione che polarizza ancora di più queste due forze polittiche. Se c’è una certezza è che nella prossima legislatura le forze politiche tradizionali arretreranno e le altre coinvolte in questo governo avanzeranno. Quali saranno gli equilibri in campo non so ma gli elettori di Fi e Fdi andranno verso la Lega. Questo significa che nella prossima legislatura M5s e Lega si ritroveranno ancora una volta protagoniste spero sempre nella maniera più autonoma ma è evidente che se in questa legislatura gli incastri possibili erano due, nella XIX ce ne sarà uno solo qualora non prendessimo il 40%. Allora che senso ha avuto bloccare tutto?“.