Bitcoin nel mirino del fisco, così verranno tassate le criptovalute
Le criptovalute entrano nella dichiarazione dei redditi. I capital gain incassati con Bitcoin, Ethereum, Lite e le altre ormai migliaia di criptovalute verranno tassati come se si trattasse di valute estere. La Direzione regionale lombarda dell’Agenzia delle entrate lo ha chiarito rispondendo all’interpello di un contribuente.
Nel rispondere alla domanda posta dal contribuente l’Agenzia fa riferimento all’art.67 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir) che regola il trattamento fiscale dei redditi diversi e alla risoluzione 72/e che aveva già assimilato le criptovalute a quelle estere. Rimane invece escluso il versamento dell’imposta sul valore dei prodotti finanziaria (Ivafe).
Limiti della tassazione
Secondo le norme in materia la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione a pronti di valute provenienti da depositi e conti correnti – per le criptovalute i portafogli elettronici o wallet – si ha nel caso in cui la giacenza in valuta nei depositi e conti correnti complessivamente sia superiore a €. 51.645,69 per almeno 7 giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta in cui la plusvalenza è stata realizzata. Il controvalore va calcolato al cambio di riferimento del periodo di imposta, quindi al primo gennaio.
Criptovalute nei quadri RW ed RT
Sono due i quadri della dichiarazione dei redditi che entreranno in gioco per i possessori di criptovalute. Il quadro RW nel quale, devono essere inserite le attività finanziarie estere (a cui le criptovalute sono state equiparate) detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari finanziari, come spiega Paolo Luigi Burlon, del blog specializzato Coinlex.it; il quadro RT dove andranno dichiarate le plusvalenze realizzate, sottoposte a tassazione del 26%.
I dubbi sul chiarimento
Il chiarimento dell’Agenzia delle entrate genera in realtà nuove aree ombra come l’assimilazione di una criptovaluta non emessa da alcuna banca centrale e non legata ad alcun Paese a una valuta estera. Lo stesso Mario Draghi, presidente della Bce, si era espresso nel febbraio scorso sulla criptovaluta rispondendo a una domanda:
“Un euro oggi è un euro anche domani, possiamo dire lo stesso per il bitcoin?”
Un secondo aspetto contrastante viene sottolineato da Burlone sul sito Mysolution.it con un esempio:
“Ipotizziamo un detentore di un unico portafoglio in ether che, fin da inizio periodo e senza fare alcun trade, avesse contenuto 5000 ether, ceduti poi verso fine dicembre al prezzo unitario di circa 700 euro. Realizzerebbe un’operazione di cessione a pronti pari a 3,5 milioni di euro. La plusvalenza sarebbe fiscalmente non imponibile in quanto la valutazione al cambio di inizio periodo (circa 7 euro) sarebbe inferiore alla soglia di euro 51.645,69 euro. Di contro, estendendo le applicazioni di tale interpretazione, un detentore di un unico portafoglio pari a 5 bitcoin (valore di poco superiore a euro 800 a inizio periodo) che, nell’intorno dei massimi (19/12/2017 valore di circa euro 16.500) li avesse ceduti in cambio non di valuta fiat ma di tether (criptovaluta che si prefigge di tenere il controvalore legato al valore unitario del dollaro, 1USDT=1$) incassando 97.350 USDT (pari a circa euro 82.500), avrebbe realizzato un’operazione la cui plusvalenza avrebbe piena imponibilità. Il primo soggetto, milionario, nulla dovrebbe al fisco nostrano al contrario del secondo che, senza aver disponibilità di euro, si troverebbe a dover pagare un consistente saldo di imposta, in palese violazione del principio di parità di trattamento e di capacità contributiva”.