Fmi, banchieri centrali alle prese con spettro guerra commerciale
Banchieri centrali uniti a Washington nell’avvertire che una guerra commerciale, frutto di una politica incentrata sul protezionismo, avrebbe un effetto più deflazionistico che inflazionistico sull’economia mondiale. La paura è emersa durante i lavori primaverili del Fondo Monetario Internazionale, che si sono appena conclusi, ed è stata confermata dal comunicato finale dell’IMFC, principale commissione di consulenza dell’ Fmi:
“Nel breve termine i rischi sono ampiamente bilanciati, ma oltre i prossimi trimestri rimangono orientati verso il basso. Le maggiori vulnerabilità finanziarie, l’aumento delle tensioni commerciali e geopolitiche, e il debito storicamente alto minacciano le prospettive di crescita globale”.
D’altronde, la decisione dell’Fmi di lasciare invariate le stime sulla crescita globale al ritmo del 3,9%, sia per quest’anno che per il prossimo, è accompagnata dall’avvertimento che le tensioni commerciali, insieme alla zavorra del debito globale che vale ben $164 trilioni, possano far deragliare l’espansione più forte dal 2011.
Di questo hanno preso atto i banchieri centrali, con quello della Colombia, Juan Jose Echavarria, che ha affermato che una guerra commerciale sarebbe “catastrofica per la crescita globale”, visto che “quanto abbiamo imparato dagli anni Trenta, è che, quando tutti i paesi iniziano ad aumentare i dazi, le economie vengono colpite dalla stagnazione”.
Nel far riferimento che, nel breve periodo, “forse per un anno”, le esportazioni di soia potrebbero salire in caso di guerra commerciale, il banchiere centrale del Paraguay Carlos Fernandez Vladovinos ha messo inoltre in guardia che l’effetto, “nel medio termine, sarebbe negativo per tutti”.
Haruhiko Kuroda, numero uno della Bank of Japan, ha concordato: Il protezionismo sarebbe un evento “molto indesiderato, visto che finalmente il commercio e l’economia si stanno espandendo in modo stabile. Dobbiamo essere molto cauti.”
Le stesse minute della Fed relative alla riunione del 20-21 marzo avevano mostrato che “una grande maggioranza” dei partecipanti avevano identificato i rischi al ribasso dell’economia nelle tensioni commerciali. Quelle che sono state inagurate dall’era Trump, e che nelle ultime settimane hanno visto protagonista un botta e risposta a colpi di dazi doganali tra l’America e la Cina.