Fmi, spagnoli ora più ricchi degli italiani. Anche paesi ex blocco sovietico sorpasseranno Italia
Mentre arrivano indiscrezioni sul Def – che dovrebbe ricevere il via libera dal governo uscente la prossima settimana – l’Italia scopre di essere stata sorpassata dalla Spagna, in termini di Pil pro capite. La prova del nove arriva con i dati del World Economic Outlook dell’Fmi, che hanno messo a confronto i paesi attraverso la tecnica della parità del potere di acquisto. Ebbene, stando a quanto riporta il Financial Times in un articolo dal titolo inequivocabile: “Spanish now richer than Italians, IMF data show”, gli spagnoli sono diventati più ricchi degli italiani.
Il sorpasso è avvenuto nel 2017, ed è destinato a proseguire, visto che l’Fmi prevede anche che la Spagna diventerà il 7% più ricca dell’Italia nel corso dei prossimi cinque anni. Una netta inversione di rotta, almeno rispetto a dieci anni fa, quando l’Italia era più ricca della Spagna del 10%.
E’ molto probabile che il sorpasso fosse ormai inevitabile: mentre la Spagna si conferma tra le economie dell’Unione europea con tassi di crescita più elevati, l’Italia rimane fanalino di coda. Tanto che, ed è emerso proprio nel corso di questa settimana dalle previsioni del Fondo, se è vero che il Regno Unito farà peggio dell’Europa, ci sarà un paese, un solo paese, che farà ancora peggio: l’Italia.
Dall’outlook dell’Fmi emerge anche che, entro il 2023, anche alcuni paesi dell’ex blocco sovietico, come la Slovacchia e la Repubblica Ceca, sempre sulla base del trend del Pil pro capite, supereranno l’Italia.
Così ha commentato all’Ft Carlo Alberto Carnevale Maffé, professore presso l’Università Bocconi di Milano:
“E’ dal 16esimo secolo che l’Italia e la Spagna continuano a sorpassarsi a vicenda, ma la Spagna ha seguito una traiettoria di crescita più robusta e convincente dell’Italia almeno dal 2011″.
Per Carnevale Maffè, il successo della ripresa spagnola si deve ad alcuni fattori strutturali chiave, come la popolazione più giovane, e la capacità di aver lanciato investimenti pubblici in modo più efficiente rispetto a quanto abbia fatto l’Italia, soprattutto nelle infrastrutture. Ancora, il paese mostrerebbe una maggiore apertura verso l’innovazione e gli investimenti stranieri. E qui viene da chiedersi se l’ennesima paternale arrivata dalla Francia, sotto le spoglie del finanziere bretone Vincent Bollorè, non abbia alla fine qualche fondamento:
“Gli investimenti in Italia sollevano critiche. Ma è alla fine della fiera che si contano gli animali. Fu la stessa cosa anni fa, quando entrammo in Mediobanca, dove abbiamo fatto investimenti contribuendo alla stabilità di Mediobanca e anche di Generali. Penso faccia parte delle cose della vita: bisogna essere coraggiosi”, aveva detto ieri l’azionista di maggioranza del colosso Vivendi, parlando del caso TIM.
Italia: ancora una minaccia per l’area euro
Tra gli analisti intervistati dal Financial Times c’è anche Lieven Noppe, economista senior presso KBC, che ha affermato che, in assenza di un miglioramento strutturale dell’economia, “l’Italia continuerà a costituire una minaccia latente per l’area euro”.
Il declino italiano è evidente, se si considera che alla fine degli anni Novanta l’Italia – che come rileva l’FT ha una popolazione superiore a quella iberica di 15 milioni – godeva di un’economia pari a due volte quella della Spagna. Ora, la forchetta si è ridotta ad appena il 50% e nei prossimi cinque anni è destinata a contrarsi ancora di più.
Jack Allen, economista di Capital Economics, ricorda che il trend dell’economia italiana si è confermato mediocre dal 1999.
Il risultato è che il Pil è cresciuto in modo solo marginale rispetto al 2000, mentre altre economie dell’Unione europea hanno assistito a una espansione del 25% e anche superiore. L’output totale della spagna, per esempio, è superiore del 35% rispetto a quello del 2000.
Certo, l’Fmi ha confermato che, nel 2017, la crescita del Pil italiano al ritmo dell’1,5% è stata la più veloce dal 2010, e ha aggiunto di prevedere un ulteriore rafforzamento, nel corso del 2018.
Tuttavia, l’incertezza politica si conferma eterna spada di Damocle per il paese. E, come spiega Massimo Bassetti, economista di Focus Economics, il risultato frammentato delle elezioni politiche dello scorso 4 marzo potrebbe significare che “è improbabile che vengano lanciate riforme incisive”, e che di conseguenza “è probabile invece che sia il potenziale di crescita dell’Italia che l’outlook “rimangano al di sotto degli altri paesi europei”.
Nel 1997, l’Italia era la 18esima economia più ricca, in base al Pil pro-capite, tra i paesi per cui l’Fmi aveva a disposizione i dati completi. Dopo 10 anni, Roma è scivolata di ben 10 posizioni, e nell’ultimo decennio fino al 2017, ha perso altre cinque posizioni.
Si prevede inoltre che il paese, entro il 2023, sarà solo il 37esimo più ricco su base pro-capite tra quelli monitorati dal Fondo Monetario Internazionale.
Ed è di magra consolazione il fatto che, in base alle ultime indiscrezioni, il Pil del 2018 dovrebbe essere rivisto al rialzo dal +1,5% al +1,6% nel Def. Anche perchè poi sono le stesse fonti a rendere noto che il tasso di crescita rallenterà a +1,4% nel 2019, e a +1,3% nel 2020, sulla scia dell’ aumento automativo dell’Iva e delle acciseaumento automatico di Iva e accise. Si tratta di rumor, è vero, ma della minaccia dell’aumento dell’Iva si parla ormai da settimane. La parola al nuovo governo italiano, che ancora non c’è.