Opzione Donna 2023: ecco i requisiti per poter andare in pensione
Una delle misure previste dalla Legge di Bilancio 2023 è la proroga di Opzione Donna, alla quale le lavoratrici potranno accedere nel corso del prossimo anno, anche se i limiti sono più stringenti rispetto a quelli del passato.
Nel corso delle ultime settimane sono state molte le polemiche che sono ruotate intorno ad Opzione Donna:
a far discutere è stata la volontà dell’Esecutivo di collegare i requisiti anagrafici per accedere alla misura al numero dei figli.
Il Governo, guidato da Giorgia Meloni, non è tornato sui propri passi, nonostante le polemiche.
Ha quindi deciso di andare avanti e di mantenere in vigore Opzione Donna, modificando, comunque, alcune regole ed i limiti anagrafici.
Le regole per accedere ad Opzione Donna
Dal 1° gennaio 2023, potranno accedere ad Opzione Donna le lavoratrici che hanno compiuto 60 anni, non più 58.
Resta fermo, invece, il requisito dell’anzianità contributiva, che deve essere pari a 35 anni.
Le madri con un figlio avranno la possibilità di anticipare la richiesta della pensione di un anno, mentre le donne con due o più figli potranno uscire dal lavoro con due anni di anticipo. Comunque vada, le lavoratrici dovranno appartenere alle seguenti categorie:
- avere una percentuale di invalidità pari o superiore al 74%, che deve essere stata accertata dalle commissioni competenti per il riconoscimento dell’invalidità civile;
- essere un caregiver da almeno sei mesi. Devono, quindi, assistere il coniuge od un parente di primo grado con un handicap grave;
- devono essere delle lavoratrici licenziate o essere dipendenti di aziende per le quali è aperto un tavolo di confronto nelle sedi opportune per la gestione della crisi aziendale.
Sono confermate, al momento, le premesse di Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro, che lo scorso 22 dicembre 2022 ai microfoni di Radio 24 aveva parlato di un allargamento della platea dei beneficiari di Opzione Donna, rispetto ai limiti che erano stati inseriti in un primo momento nella manovra.
La nuova versione della misura ha un costo di appena 20 milioni di euro, mentre Opzione Donna 2022 ne richiede 80 in più.
Le novità previste per il 2023
Opzione Donna è stata introdotta attraverso la Legge 234 del 2004 ed è stata prorogata più volte sino al 2022.
Ha rappresentato, fino ad oggi, la possibilità per le lavoratrici dipendenti di anticipare la data nella quale sarebbero andate in pensione.
Ricordiamo che, ancora per il 2022, lo strumento permette di uscire dal mondo del lavoro a 58 anni – che diventano 59 per le lavoratrici autonome – con un’anzianità contributiva di 38 anni.
Nel corso di questi anni la misura ha avuto un indubbio successo: ha permesso a molte donne di non attendere i 67 anni di età ed i 20 di anzianità contributiva previsti per la pensione di vecchiaia.
Lo scopo di Opzione Donna era quello di conciliare la vita familiare con quella lavorativa.
Nel corso dei primi nove mesi del 2022 ha permesso a 18.273 lavoratrici di uscire dal mondo del lavoro.
Nel 2023 sono cambiati alcuni requisiti di accesso, ma restano invariate le regole sui tempi di maturazione dell’anzianità contributiva.
Sono cambiati, in estrema sintesi, i requisiti relativi all’età anagrafica.
Per accedere ad Opzione Donna 2023 è necessario aver compiuto 60 anni – scendono a 59 con un figlio e a 58 con due o più figli – e 35 anni di contributi, che devono essere maturati entro e non oltre il 31 dicembre 2022.
Opzione Donna, il calcolo dell’assegno
L’assegno previdenziale viene calcolato con il sistema contributivo. La pensione, quindi, subisce una decurtazione del 20-30%.
Anche per il 2023 restano in vigore le finestre mobili: la pensione viene pagata alle dipendenti dopo dodici mesi dalla maturazione dei requisiti, mentre alle autonome arriverà dopo 18 mesi.
Le lavoratrici dipendenti, infine, che rientrano nei requisiti di Opzione Donna 2023, devono cessare dal rapporto di lavoro e raggiungere 35 anni di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2022 senza poter utilizzare il cumulo gratuito dei contributi versati in casse previdenziali diverse e al netto dei periodi di malattia o disoccupazione.