Ricchezza famiglie italiane erosa da inflazione: i numeri di Istat-Bankitalia
L’inflazione erode la ricchezza delle famiglie italiane. A metterlo in evidenza l’ultimo rapporto congiunto di Istat e Banca d’Italia “La ricchezza dei settori istituzionali in Italia: 2005-2022”. Nel corso del 2022, la ricchezza netta è crollata di oltre il 12% in termini reali rispetto al 2021, segnalando un deterioramento significativo dei risparmi e del potere d’acquisto delle famiglie italiane dopo l’epidemia di Covid-19.
I dati evidenziano che, alla fine del 2022, la ricchezza è diminuita dell’1,7% in termini nominali, ovvero al netto dell’inflazione, interrompendo una tendenza positiva di tre anni consecutivi di crescita. Questo declino rappresenta un segnale della pressione inflazionistica che ha eroso il valore della ricchezza delle famiglie italiane nel periodo post-pandemico.
Ricchezza delle famiglie erosa dall’inflazione
Alla fine del 2022, la ricchezza netta delle famiglie italiane è stata valutata a 10.421 miliardi di euro. Questo dato, corretto per l’inflazione utilizzando l’indice dei prezzi al consumo come deflatore, ha subito una diminuzione del 12,5%. Il rapporto tra la ricchezza netta e il reddito lordo disponibile è sceso da 8,7 a 8,1, ritornando ai livelli del 2005.
La ricchezza netta delle famiglie italiane è calcolata come la somma delle attività non finanziarie (quali abitazioni, terreni, ecc.) e delle attività finanziarie (tra cui depositi, titoli, azioni, ecc.), al netto delle passività (quali prestiti a breve termine, a medio e lungo termine, ecc.).
Il report spiega che le attività non finanziarie, valutate a 6.317 miliardi di euro, hanno registrato un aumento del 2,1% a prezzi correnti (+131 miliardi). Tale incremento è principalmente attribuibile alla crescita del valore delle abitazioni, che ha segnato il maggior aumento dal 2009 (+2,4%; +125 miliardi). Questo aumento è stato prevalentemente determinato dalla crescita dei prezzi medi delle proprietà abitative alla fine del 2022.
Tale incremento si inserisce in un contesto di aumento delle transazioni immobiliari registrato sul mercato residenziale negli ultimi anni, così come di una maggiore riqualificazione degli immobili stimolata dai bonus edilizi. Nel frattempo, il valore degli immobili non residenziali è rimasto stabile, ponendo fine alla fase di contrazione che era in corso dal 2012.
La ricchezza di imprese e pubbliche amministrazioni
Nel 2022, tra le attività reali delle società non finanziarie, rappresentanti il 57,2% della loro ricchezza lorda, ha continuato a crescere il valore degli impianti e macchinari. Dal punto di vista finanziario, le detenzioni di titoli e azioni hanno registrato un aumento significativo, mentre la crescita dei depositi, precedentemente sostenuta durante la crisi pandemica, è stata più limitata. Complessivamente, la ricchezza lorda delle imprese è aumentata del 2,4%, mentre le passività sono diminuite del 2,6%, principalmente a causa della riduzione del valore di mercato delle azioni e dei titoli obbligazionari. Il livello di indebitamento si è leggermente ridotto, seguendo una tendenza simile a quella osservata in altri Paesi.
Nel settore delle società finanziarie, la ricchezza lorda è diminuita del 7%, con una contrazione che ha coinvolto principalmente i depositi attivi e i titoli detenuti, insieme a una riduzione delle passività, soprattutto dei depositi, delle riserve assicurative e delle azioni.
Per quanto riguarda le Pubbliche Amministrazioni, la loro ricchezza netta è risultata negativa per 1.188 miliardi di euro alla fine del 2022, ma è migliorata rispetto al 2021 grazie a una crescita delle attività (+4,7%) e a una riduzione delle passività (-6,9%). Tra le attività non finanziarie, si è osservato un aumento del valore delle opere del genio civile e degli immobili non residenziali.
Per quanto riguarda le attività finanziarie, è aumentato il valore dei titoli. La forte diminuzione delle passività è stata guidata dalla riduzione dei prezzi di mercato dei titoli di Stato. In generale, la ricchezza netta delle amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL è aumentata negli ultimi due anni, dopo la contrazione del 2020 legata alla crisi pandemica. In Italia, il rapporto è tornato in linea con i valori precedenti la pandemia, superando ampiamente quelli di altri Stati considerati nella pubblicazione.
Italiani poco interessati al mercato azionario
Dopo circa un decennio, si è registrato un ritorno alla crescita dei titoli di debito detenuti dalle famiglie, con una parte significativa emessa dalle amministrazioni pubbliche. Nel frattempo, l’incremento dei depositi è stato contenuto, segnando una variazione rispetto al forte accumulo osservato nel triennio precedente. La nota sottolinea che la crescita delle passività finanziarie (+2,8%) è attribuibile principalmente alla componente dei prestiti.
Perde appeal invece il mercato azionario, evidenziando una diminuzione dopo tre anni di crescita. Il report spiega che i trend negativi dei mercati finanziari hanno causato una diminuzione dei valori delle attività finanziarie, la quale è stata solamente parzialmente bilanciata dagli acquisti netti di nuovi strumenti finanziari. Le famiglie hanno subito perdite in conto capitale, principalmente a causa della svalutazione di riserve assicurative, quote di fondi comuni, azioni e titoli.
“Dati drammatici”: il commento dell’Unione Nazionale Consumatori
I numeri forniti da Istat e Banca d’Italia sono stati commentati da Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, che ha parlato di “dati drammatici”. “Si tratta di un crollo molto preoccupante e allarmante. Gli italiani si impoveriscono sempre più e il fatto di essere proprietari della loro abitazione non è più sufficiente come una volta per mantenere stabile la loro ricchezza, che scende anche in rapporto al reddito disponibile. Reddito tra l’altro già insufficiente per far fronte all’aumento del costo della vita e all’inflazione galoppante”.
Insomma “il tesoretto degli italiani perde sempre più consistenza e questo significa accrescere le incertezze sul futuro, ridurre le aspettative sulla propria condizione economica, con conseguenze negative sui consumi”, sottolinea ancora Dona.