Credit Suisse accetta l’aiuto della BNS. Cosa è successo
Il sistema bancario internazionale inizia a traballare. Dopo il fallimento della statunitense Silicon Valley Bank, le preoccupazioni e i timori hanno coinvolto direttamente la svizzera Credit Suisse.
Nella giornata di ieri, sulla piazza di Zurigo, l’istituto elvetico ha perso il 24,4% a 1,69 franchi, raggiungendo i minimi di sempre.
Questo crollo ha innescato le vendite sull’intero comparto bancario europeo, dove l’indice Stoxx ha chiuso con un meno 7,11%.
Nella notte tra mercoledì e giovedì, Credit Suisse ha annunciato che prenderà un prestito dalla Banca Nazionale Svizzera (BNS) per un importo pari a 50 miliardi di franchi.
L’obiettivo è quello di rafforzare il gruppo, dopo il crollo registrato in Borsa.
Questa decisione segue le dichiarazioni della BNS, che nel corso della serata di mercoledì aveva dato la propria disponibilità per intervenire in soccorso della banca.
Ulrich Körner, amministratore delegato del gruppo, ha spiegato che “queste misure sono una mossa decisiva per rafforzare il Credit Suisse, mentre continuiamo la nostra trasformazione strategica per fornire valore ai nostri clienti“.
Credit Suisse, la paura esce dagli Usa
Oggi come oggi, quindi, non è unicamente la Silicon Valley Bank a far paura.
Sotto i riflettori, adesso, vi è finito il Credit Suisse, la seconda banca elvetica, che è di proprietà araba.
Ricordiamo, infatti, che con il suo 37%, la Saudi National Bank è il principale azionista del colosso bancario svizzero: a scatenare la bufera su Zurigo è stata proprio una decisione dell’azionista arabo, che ha escluso un nuovo sostegno finanziario.
La Saudi National Bank, alla fine dello scorso anno, aveva acquistato una partecipazione del 9,88% all’interno del Credit Suisse: l’operazione era avvenuta in concomitanza di un aumento di capitale di circa quattro miliardi di franchi.
Tra gli azionisti principali ci sono Qatar Holding con il 5,03% e Olayan Group al 4,93%: complessivamente, questo blocco di azionisti detiene una quota di capitale che sfiora il 20%.
Al di fuori dell’area del Golfo, tra gli azionisti più importanti vi troviamo BlackRock, che detiene poco più del 4% .
Nel corso delle ultime ore, il Credit Sisse ha informato che si offre per riacquistare debito per circa 3 miliardi di franchi.
Ma soprattutto ha deciso di assumere un’azione decisa per rafforzare la propria liquidità anticipatamente.
La banca ha intenzione di esercitare l’opzione di prendere in prestito fino a 50 miliardi di franchi svizzeri, che corrispondono a circa 54 miliardi di dollari, dalla banca centrale svizzera.
Questa iniezione di liquidità ha lo scopo di sostenere le attività core e i clienti di Credit Suisse mentre la banca prenderà le misure necessarie per creare un gruppo più semplice e contrato, principalmente, sulle necessità dei clienti.
I dubbi e le perplessità
Alcuni dubbi rimangono all’orizzonte.
Larry Fink, amministratore delegato del fondo statunitense BlackRock, ritiene che si stia pagando, ora come ora, il prezzo di decenni di denaro facile.
Robert Kiyosaki, l’investitore che aveva previsto nel 2008 il tracollo di Lehman Brothers, ritiene che il Credit Suisse possa essere una delle prossime vittime.
Troppo grande per fallire, ma anche per essere salvata: questa è, in estrema sintesi, l’opinione di Nouriel Roubini.
Il Credit Suisse è da un po’ di tempo che naviga in pessime acque.
Nel corso del 2021 erano falliti i fondi speculativi Usa Archegos e Greensill, che avevano determinato una perdita di oltre 6 miliardi di franchi, circa 6,16 miliardi di euro.
Il Credit Suisse, da quel momento, tentò di fare quadrato, con l’avvicendamento alla guida del gruppo tra Thomas Gottstein e Ulrich Körner, mettendo a punto una strategia di rilancio e di tagli, ma il 2021 si è chiuso con un rosso di 1,5 miliardi di franchi.
Il 2022 si è chiuso con una perdita annunciata di oltre 7 miliardi di franchi.