Crisi banche: ecco i principali fronti che spaventano
I timori di una vera e propria crisi bancaria sono tornati nel corso delle ultime settimane.
A pesare sul settore è stato il crollo di Silicon Valley Bank negli Stati Uniti, la crisi di First Republic Bank e i problemi che hanno attanagliato il Credit Suisse, il cui collasso è stato evitato in extremis.
Anche se il salvataggio dell’istituto elvetico ha lasciato perplessi gli investitori e gli analisti, perché sono stati salvati gli azionisti a discapito degli obbligazionisti.
A finire sul banco degli imputati sono state le mosse delle banche centrali sui tassi.
Dubbi e perplessità sono state avanzate sulle politiche monetarie e sulle scelte strategiche, che hanno portato ad accentuare la volatilità, che nel corso degli ultimi mesi era già emersa sul mercato.
Nel corso di un’intervista rilasciata a IlGiornale.it, l’economista Massimo Amato aveva già sottolineato come ci fossero alcune similitudini tra la fase che stiamo attraversando – caratterizzata da mercati iper liquidi sottoposti a strette sui tassi e il decollo dell’economia – e il 1929, l’anno che era stato caratterizzato dal crash bancario e dalla Grande Depressione.
Crisi bancaria: cosa c’è da temere
Dobbiamo temere una nuova crisi bancaria?
Alcune similitudini con il 2007-2008 sembrano esserci all’orizzonte:
nelle banche sono presenti centinaia di miliardi di derivati, che sono potenzialmente tossici e che potrebbero innescare una crisi bancaria strutturale.
Fare delle stime di questo tipo risulta particolarmente difficile: la pandemia ha, purtroppo, spostato l’attenzione dei regolatori altrove.
Le stime più accreditate, comunque, mettevano in evidenza che nel 2018 erano presenti 6.800 miliardi di euro titoli potenzialmente tossici all’interno degli istituti bancari tedeschi e francesi.
Molto probabilmente tutto questo potrebbe entrarci con il caos generato da uno dei più grandi malati d’Europa: Deutsche Bank.
A finire sotto i riflettori dell’autorità bancaria sono anche i miliardi di derivati che erano strettamente legati alla sperequazione dei mercati energetici, i quali sarebbero potuti diventare spazzatura.
In questo momento, negli Stati Uniti è percepita una minaccia di quasi 2 miliardi di dollari di derivati, che sono strettamente connessi con il mercato immobiliare: in caso di sgonfiamento della bolla, potrebbero esplodere nella pancia dei più importanti colossi bancari statunitensi.
La nuova bolla immobiliare
Una delle preoccupazioni maggiori, strettamente connesse con la crisi bancaria, è una possibile bolla immobiliare.
Blackstone deve ancora ripagare 297 milioni di euro connessi ad un unico progetto in Finlandia.
Molti fondi, tra i quali ci sono Schroders e BlackRock, hanno scelto di limitare i prelievi dai loro fondi garantiti dall’immobiliare.
L’era dell’immobiliare come investimento in grado di ripagarsi da solo acquisendo valore nel tempo è finita con l’avanzata dei tassi.
Sostanzialmente le banche sono state colpite due volte: sia come detentrici di fondi legati all’immobiliare, sia come soggetti esposti all’esposizione dei debitori e dei titolari di un mutuo.
La nuova spada di Damocle sull’intero comparto bancario sono i Bond AT1 che continuano a circolare.
A mettere in allerta gli investitori è stato il caos Credit Suisse: Finma e la Banca Nazonale Svizzera hanno azzerato le obbligazioni della banca di Zurigo per 16 miliardi di euro. Questi bond possono costituire l’ennesima bolla, che potrebbe far scatta la crisi bancaria.
L’affaire Credit Suisse, inoltre, ha portato alla luce un ulteriore problematica: si ipotizza che almeno 200 miliardi di asset riconducibili in un modo o nell’altro alla Russia e ai suoi oligarchi siano nascosti in varie scatole cinesi.
E che fossero presenti nei forzieri della banca di Zurigo e di altri istituti elvetici.
Cercare di comprendere e capire quanti di questi fondi siano volati via sottobanco o senza lo scrutinio di Credit Suisse dall’inizio dell‘invasione militare dell’Ucraina nel febbraio 2022 a oggi è fondamentale per comprendere se nel dissesto finanziario e nelle prossime crisi il decoupling da Mosca avrà un ruolo.