Rischi deglobalizzazione, scardinato l’Ordine mondiale. Debito vittima illustre
“I rischi di deglobalizzazione, siano essi economici o geopolitici, rappresentano una minaccia significativa per i quadri di riferimento che hanno guidato l’economia mondiale e gli investitori globali a partire dagli anni Novanta. Poiché questi rischi continuano a profilarsi all’orizzonte, nel 2023 i clienti dovranno adottare approcci di gestione del rischio proattivi e dinamici”. Così scrive Michaël Lok, CIO Group di UBP, nel fare il punto della situazione dei mercati e nel ricordare anche la genesi dei problemi attuali.
Nella nota “Il mondo sta cambiando, i rischi di de-globalizzazione sono in primo piano”, il direttore degli investimenti di UBP ripercorre il passaggio da un’era di deflazione e di tassi bassi, all’era attuale contraddistinta dal boom dell’inflazione e dall’aumento dei tassi da parte di diverse banche centrali.
“L’alba del XXI secolo ha coinciso con l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, dando alle economie occidentali il primo assaggio di deflazione – ricorda il CIO di UBP – Questi shock hanno portato inflazione e tassi d’interesse ad abbassarsi costantemente in tutto il mondo, poiché la produzione a basso costo della Cina ha fatto seguito a materie prime a basso costo che erano entrate nell’economia globale un decennio prima con la caduta dell’Unione Sovietica”.
Michaël Lok, CIO Group di UBP aggiunge che, a suo avviso, sono state le guerre commerciali di Trump del 2017-18 a iniziare a scardinare questo equilibrio; questi problemi sono stati poi esacerbati dalla pandemia globale che è seguita, costringendo i Paesi di tutto il mondo a dare priorità all’affidabilità e alla sicurezza delle forniture rispetto al loro costo.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha fatto sì che questa attenzione venisse applicata all’intera catena di approvvigionamento globale.
“Questi shock hanno prodotto una serie di rischi che gli investitori non affrontavano da una generazione. Tra questi, in termini economici, spicca l’inflazione che ne è derivata, insieme all’aumento dei rendimenti e all’abbandono dei tassi di interesse negativi corretti per l’inflazione, volti a contrastare l’aumento dei prezzi”
“Per gli investitori, il rischio maggiore derivante dal riemergere di un’inflazione elevata e dalla prospettiva di tassi d’interesse reali positivi prolungati riguarda il debito che si è accumulato con il calo dei tassi d’interesse negli ultimi 15 anni”, prosegue Michaël Lok.
L’analista sottolinea che, “se i tassi d’interesse si manterranno su livelli prossimi a quelli della fine del 2022 in tutto il mondo, i costi di rifinanziamento del debito per questi governi potrebbero rivelarsi sempre più impegnativi, costringendo a una combinazione di austerità fiscale, aumenti delle imposte e politiche di controllo della curva dei rendimenti”.
Praticamente, “a meno che i governi non scelgano e i mercati non accettino quadri di controllo della curva dei rendimenti come quello adottato in Giappone, l’aumento dell’onere degli interessi associato agli attuali livelli di debito solleva la prospettiva che le autorità fiscali siano impossibilitate a spendere di fronte a un rallentamento economico, come quello che si sta attualmente delineando”
“Ciò comporterebbe il rischio di un rallentamento più profondo e prolungato. Dal punto di vista geopolitico, la riorganizzazione delle catene di approvvigionamento globali potrebbe trasformarsi in una vera e propria deglobalizzazione, guidata principalmente dalle crescenti tensioni tra le due maggiori economie mondiali: Cina e Stati Uniti”.
Tra l’altro, viene fatto notare che “il Presidente Biden ha mantenuto i dazi implementati dal suo predecessore e ha iniziato a stringere alleanze nell’Asia orientale e meridionale in uno sforzo più evidente per contenere una Cina in ascesa”.