Investimenti ostili: l’Europa alza il muro anti Cina
L’Unione europea scende in campo per difendere le aziende del vecchio continente da eventuali investimenti ostili.
Fino ad oggi i vari governi nazionali erano intervenuti autonomamente ed in ordine sparso per tutelare le aziende di interesse nazionale.
Uno degli ultimi casi in questo senso è rappresentato dalla Pirelli e dalla decisione dell’Italia di bloccare sul nascere la potenziale scalata della cinese Sinochem.
Adesso, invece, sarà direttamente l’Ue ad intervenire per bloccare gli investimenti esteri ritenuti ostili. O comunque vada che vengono ritenuti pericolosi per la stessa Unione europea.
La mossa sembra essere diretta contro la Cina: lo scopo, almeno apparentemente, sembrerebbe quello di proteggere settori come quello dell’automotive, sul quale si è concentrata più della metà degli investimenti arrivati in Europa da Pechino.
Cina, aumentano gli investimenti in Europa
Nel corso degli ultimi anni, complice la stretta imposta da alcuni governi, gli investimenti cinesi in Europa sono in netto calo.
Il loro ammontare, comunque vada, rimane elevato: nel corso del 2022 sono arrivati a sfiorare gli 8 miliardi di dollari.
Fino a qualche anno fa le mire di Pechino erano concentrate principalmente sulle infrastrutture critiche, come le reti 5G o i porti.
In tempi più recenti gli interessi si sono spostati verso l’auto elettrica e la sua filiera.
Uno studio preparato dal think tank Merics ha messo in evidenza che, dallo scorso 2018 fino ad oggi, sono arrivati dalla Cina qualcosa come 17,5 miliardi di dollari:
investimenti che hanno riguardato esclusivamente la produzione di batterie elettriche nel vecchio continente.
Germania e Francia sono i due paesi che hanno visto arrivare il numero maggiore di investimenti.
L’Ungheria, in un certo senso, è diventata il nodo da cui Pechino vuole partire per cercare di conquistare il mercato europeo delle auto elettriche.
A cambiare le regole del gioco è stata l’entrata in vigore del Fsr, il regolamento Ue per i sussidi esteri, il quale prevede un vero e proprio scudo europeo per contrastare le scalate – una sorta di golden rule – per evitare che le aziende extraeuropee, che beneficiano di sussidi pubblici, abbiano la possibilità di realizzare operazioni che possano risultare lesive per gli interessi industriali dell’Unione europea.
Le nuove regole anti scalata
Il nuovo regolamento introdotto in Europa, stando a quanto è stato reso noto in questi giorni da Bruxelles, impone direttamente alle società di notificare alla Commissione europea eventuali concentrazioni ed eventuali aiuti finanziari che sono stati ricevuti per partecipare a gare d’appalto pubbliche.
Ma partiamo dall’inizio.
Le società sono tenute a notificare eventuali fusioni o acquisizioni di aziende che generano un fatturato all’interno dell’Unione europea che sia pari ad almeno 500 milioni di euro.
L’obbligo scaturisce nel momento in cui alle società, che fanno parte di questa operazione, siano stati concessi contributi finanziari esteri per un ammontare complessivo di almeno 50 milioni di euro nel corso degli ultimi tre anni.
L’obbligo scaturisce anche nel caso in cui il valore del contratto risulti essere pari ad almeno 250 milioni di euro e l’offerta preveda un contributo finanziario aggregato che risulti essere pari ad almeno quattro milioni di euro per paese terzo nell’arco degli ultimi tre anni.
Nel caso in cui le aziende dovessero partecipare ad appalti pubblici, gli obblighi di comunicazione scattano nel momento in cui il valore stimato del contratto risulti essere pari ad almeno 250 milioni di euro.
L’offerta, inoltre, deve prevedere un contributo finanziario estero aggregato che deve essere pari ad almeno quattro milioni di euro nel corso degli ultimi tre anni.