730: le criptovalute vanno indicate nella dichiarazione dei redditi, ecco perché e come
La stagione della dichiarazione dei redditi è alle porte ed ecco che nascono i primi dubbi. Uno di questi riguarda le criptovalute: il Bitcoin & Co. dovrà essere dichiarato? La confusione è diffusa, anche fra gli addetti ai lavori. Eppure la risposta è una e una soltanto: sì, le criptovalute vanno dichiarate. E chi non lo fa commette reato.
“L’Italia è stato uno dei primi paesi a legiferare in ambito di monete virtuali per quanto riguarda la disciplina antiriciclaggio – afferma Carlo Alberto Micheli, Avvocato e Dottore Commercialista – la situazione è delineata ed esiste una prassi amministrativa che si sta stratificando nel nostro tessuto giuridico. Le monete virtuali vanno dichiarate in quanto attività di natura estera, e l’articolo 4 del decreto legislativo 167/ 90 obbliga i possessori di tali attività ad indicarle nel quadro RW della dichiarazione dei redditi che ogni anno dobbiamo presentare”.
Questo significa che se si possiede una moneta virtuale scatta l’obbligo del cosiddetto monitoraggio fiscale, cioè comunicare all’amministrazione finanziaria che si hanno delle attività estere o di natura estera, come le criptovalute, suscettibili di produrre un reddito imponibile. Il discorso vale anche se in quel momento specifico le monete virtuali non generano ricchezza, perché magari siamo solamente in una situazione di plusvalenza latente. E il monitoraggio fiscale non comporta il pagamento di alcuna imposta.
Va fatta chiarezza su un aspetto fondamentale: dichiarare di possedere criptovalute non obbliga necessariamente il pagamento di tasse. Al contrario, se all’interno dei wallet la giacenza è superiore a 51.645,69 euro per 7 giorni consecutivi, allora va pagata un’imposta sostitutiva del 26%.
“Tanti investitori purtroppo stanno sottovalutando il fenomeno dichiarativo, credendo che non esistano leggi in materia – spiega Micheli – invece ci sono precisi obblighi stratificati nella prassi amministrativa. Chi non dichiara le proprie monete virtuali incorre in pene di tipo amministrativo o penale, a seconda della gravità dell’illecito”.
A causa del mancato monitoraggio fiscale, si rischia di pagare una sanzione che va dal 3 al 15% dell’importo non dichiarato del valore finale. Oppure, dal 6 al 30%, se si è in situazioni di blacklist oppure paradisi fiscali. Mentre, se la moneta virtuale non dichiarata genera un reddito annuo superiore a 50.000 euro si rischia la reclusione, perché l’evasione è superiore appunto ai 50.000 euro all’anno.
La Guardia di Finanza ha già iniziato un’attività di controllo volta principalmente a contrastare fenomeni di riciclaggio, cioè il reimpiego di redditi non dichiarati in attività finanziarie. Verificando che gli investimenti in moneta virtuale siano realmente presenti nella dichiarazione dei redditi del contribuente.
Di notevole importanza è il ruolo svolto dal registro degli operatori in criptovalute istituito in Italia nel 2022, che segnala alla Guardia di Finanza le generalità e l’ammontare di quanto transato dal contribuente. Quindi, incrociando i dati forniti dal registro degli operatori in cripto, e quelli presenti nelle dichiarazioni dei redditi, si fa presto a verificare possibili incongruenze. E se le informazioni non corrispondono il contribuente è obbligato a chiarire la propria situazione alla Guardia di Finanza.
“Dichiarare solo in parte le proprie criptovalute è un altro grave errore da evitare – prosegue Micheli – perché anche in questo caso si commette un illecito che a particolari condizioni può divenire reato. Ciò, il più delle volte, accade affidandosi a professionisti poco esperti o addirittura improvvisati. Un commercialista serio ed abilitato alla difesa tributaria, difficilmente dirà di non dichiarare perché non c’è una legge. E’ importante inoltre tenere sempre traccia di quello che facciamo. Consiglio di stampare periodicamente dagli Exchange la reportistica delle operazioni, oppure utilizzare un file Excel dove annotare tutte le nostre attività in criptovalute. Questo protegge da eventuali verifiche future. E’ bene sapere infatti che i controlli delle autorità fiscali vanno indietro di molti anni, e potresti benissimo non ricordare una determinata operazione che risale a qualche tempo fa, in questo modo invece è tutto nero su bianco”.