Abbandono scolastico: Italia al terzo posto in Europa, le conseguenze su Pil e imprese
Oltre ai cervelli in fuga, l’Italia deve fare i conti con l’abbandono scolastico, tra i più alti d’Europa. L’allarme è stato lanciato dalla Cgia di Mestre, rilevando che se nel 2018 sono stati 62mila circa i giovani che hanno lasciato l’Italia per trasferirsi all’estero, 598mila giovani in età compresa tra i 18 e i 24 anni hanno abbandonato precocemente la scuola. Un numero dieci volte superiore al primo. “Un problema, quello degli descolarizzati, che stiamo colpevolmente sottovalutando, visto che nei prossimi anni, anche a seguito della denatalità in atto, le imprese rischiano di non poter contare su nuove maestranze sufficientemente preparate professionalmente. Un problema che già oggi comincia a farsi sentire in molte aree produttive, soprattutto del Nord”, ha detto il coordinatore, Paolo Zabeo.
Italia al terzo posto in Ue per abbandono scolastico
Sebbene la fuga dai banchi di scuola sia in calo in tutta Europa, nel 2018 l’Italia si colloca al terzo posto tra i 19 paesi dell’area dell’euro per abbandono scolastico tra i giovani in età compresa tra 18 e 24 anni. Se in Italia la percentuale è stata del 14,5% (pari a circa 598 mila giovani), solo Malta (17,4%) e Spagna (17,9%) presentano dei risultati peggiori. La media Ue si attesta all’11 per cento. Tra il 2008 e il 2018 la contrazione del fenomeno in Italia è scesa del 5,1%, pressoché in linea con la media Ue (-5,3 per cento).
Le cause che determinano l’abbandono scolastico sono principalmente culturali, sociali ed economiche: i ragazzi che provengono da ambienti socialmente svantaggiati e da famiglie con uno scarso livello di istruzione hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola prima di aver completato il percorso di studi. C’è anche un fattore di genere: ad abbandonare precocemente la scuola sono più i maschi che le femmine.
Al Sud quasi 1 ragazzo su 5 lascia la scuola in anticipo
A livello territoriale sono le regioni del Sud a registrare i livelli più elevati di abbandono scolastico. Nel 2018 in Sardegna il 23% dei giovani ha lasciato la scuola prima del conseguimento del titolo di studio (diploma professionale, diploma di maturità, etc.). Seguono la Sicilia con il 22,1% e la Calabria con il 20,3%. Preoccupa la situazione di quest’ultima regione che rispetto a quasi tutte le altre è in controtendenza rispetto al dato relativo al 2008: l’abbandono scolastico in questi ultimi 10 anni è aumentato dell’1,8%. Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia
(entrambe con il 8,9%), Abruzzo (8,8%) e Umbria (8,4%) sono le regioni più virtuose.
Povertà educativa favorisce povertà economica
Sebbene negli ultimi anni ci sia stata una contrazione del fenomeno, un elevato numero di giovani, quasi 600mila, continua a lasciare prematuramente la scuola, anche dell’obbligo, concorrendo ad aumentare la disoccupazione giovanile, il rischio povertà ed esclusione sociale. Una persona che non ha un livello minimo di istruzione, infatti, è in genere destinata per tutta la vita ad un lavoro dequalificato, spesso precario e con un livello retributivo molto basso, rispetto a quello cui potrebbe aspirare, almeno potenzialmente, se possedesse un titolo di studio medio-alto. Per questo, gli esperti sono concordi nel ritenere che la povertà educativa e la povertà economica sono strettamente correlate.
Segnali preoccupanti anche per le imprese
Stando alle indagini condotte dall’Unioncamere e dall’Anpal, sarebbero stati oltre 1 milione i posti di lavoro di difficile reperimento nel 2018 a causa del disallineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro. Sebbene in Italia la disoccupazione giovanile superi il 25%, le imprese denuncino molte difficoltà a reperire personale, soprattutto con competenze digitali. Ora, se il numero degli descolarizzati non è destinato a ridursi drasticamente, nei prossimi anni sarà sempre più difficile per le aziende trovare personale qualificato, anche perché si sta riducendo, a causa del calo demografico, la platea dei giovani che entreranno nel mercato del lavoro.
Per contro, questi giovani, che non dispongono di una adeguata preparazione professionale, saranno difficilmente collocabili nel mercato del lavoro, anche perché rischiano di perdere in partenza la competizione con gli stranieri nell’ occupare i posti di lavoro poco qualificati.