BlackRock shock molla Carige. Alitalia non insegna: ora si profila Carige di Stato à la Mps
Ricapitalizzazione pubblica: che si parli del caso più recente di Carige, di quello più antico di Mps, di quello eterno di Alitalia, queste due parole rappresentano spesso e volentieri il leit motiv nella storia della finanza e della politica economica italiana.
Altro che soluzioni di mercato: in diverse situazioni proprie del made in Italy lo Stato italiano è intervenuto per ricapitalizzare qualcosa, per iniettare parte delle somme versategli dai contribuenti sotto forma di tasse in aziende date per spacciate, ormai zombie.
Sempre attuale il caso Alitalia, alla ricerca disperata di un partner che non sia Atlantia, affinché venga confermata la linea dura scelta dal vicepremier Luigi Di Maio nei confronti della famiglia Benetton dopo la tragedia del Ponte Morandi.
Non che poi ci siano partner stranieri che si affannino a corteggiare il vettore. Idem per Carige: per molti è stato un miracolo che un titano dell’alta finanza del calibro di BlackRock si fosse quasi abbassato a considerare l’acquisizione del controllo della banca genovese.
BLACKROCK MOLLA CARIGE, RUMOR SUI MOTIVI
E infatti, il sogno si è infranto apparentemente all’improvviso.
I commissari di Carige hanno comunicato oggi – si legge nella nota diramata dalla banca – che, “al termine di un articolata fase preparatoria nell’ambito della quale si inquadra la delibera del Consiglio di Gestione dello Schema Volontario di lunedì 6 maggio, il fondo Blackrock ha ritenuto di non dare ulteriore corso alla sua iniziale manifestazione di interesse. Proseguono le valutazioni riguardanti ulteriori soluzioni di mercato finalizzate ad assicurare stabilità e rilancio di Banca Carige. Restano, in ogni caso, ferme le previsioni del titolo II del DL 8 gennaio 2019 che consentono l’eventuale avvio dell’iter per la richiesta di ricapitalizzazione precauzionale al Ministero dell’Economia”. E’ quanto si legge in una nota rilasciata da Banca Carige.
Si fa così più vicino il rischio di una soluzione alla Mps, salvata con la ricapitalizzazione precauzionale.
Ma cos’è successo per portare BlackRock a sbattere la porta a Carige?
Un articolo di Repubblica ha preannunciato il disastro. Il quotidiano ha dato per primo la notizia delle nozze fallite tra il fondo e la banca, prima che da Genova arrivasse la nota ufficiale.
Il no, si legge nell’articolo di Andrea Greco, sarebbe stato deciso da un comitato di investimenti del colosso americano, che “avrebbe dato parere negativo all’acquisizione di Banca Carige”.
“L’indiscrezione, piombata in Italia in serata, getta nello sconforto i commissari dell’istituto genovese, l’advisor finanziario Mediobanca e le prime linee del governo e delle istituzioni, che da settimane costruivano faticosamente l’operazione che avrebbe dato al gestore di 6.500 miliardi di dollari il controllo della banca ligure – si legge nell’articolo di Repubblica – L’interpretazione più probabile, dietro le quinte, è che quei 400 milioni in azioni Carige, in aggiunta alla garanzia sulla parte inoptata del previsto l’aumento di capitale da 720 milioni, sono stati ritenuti un ‘cip’ eccessivamente rischioso per i parametri di BlackRock; anche se in capo a un singolo fondo dedicato alle ‘situazioni speciali’, e in grado di intestarsi rischi maggiori”.
E ORA? SALVATAGGIO DI STATO INEVITABILE? DOPO MONTE DI STATO CARIGE DI STATO?
Che cosa si deciderà di fare, a questo punto? Il comunicato di Banca Carige è piuttosto chiaro nel rendere noto che i commissari straordinari scelti dalla Bce propenderanno ancora per una soluzione di mercato.
Ma il punto è un altro. Dove sono i potenziali acquirenti interessati a Carige? Più che la fila, e questo vale anche per l’altro dossier aperto Alitalia, c’è il deserto dei tartari.
Dunque, se da un lato è vero che il governo M5S-Lega, come ha scritto lo scorso febbraio su Repubblica, hanno riportato sotto i riflettori la figura dello Stato padrone, è altrettanto vero che la soluzione della ricapitalizzazione precauzionale, così come quella della nazionalizzazione, potrebbe rischia alla fine di essere inevitabile, vista l’assenza di pretendenti intessati a rilevare questi asset italiani.
Era il 4 luglio del 2017 quando la Commissione europea disse sì al piano di ricapitalizzazione precauzionale di MPS, che prevedeva aiuti di Stato per 5,4 miliardi, nell’ambito di una operazione di aumento di capitale da 8,3 miliardi di euro.
Banca Carige sarà destinata anch’essa a diventare di Stato? Dopo il Monte di Stato nascerà anche una Carige di Stato?
Quanto ancora le casse di Stato possono ancora sopportare per sostenere un sistema, in questo caso bancario, con interventi costosi che finiscono ovviamente per incidere anche sulla dinamica del deficit-Pil, come accaduto nel caso delle banche venete?
Il 4 aprile del 2018 la stessa Istat rendeva noto che il rapporto deficit/Pil dell’Italia relativo al 2017 era stato rivisto al rialzo al 2,3%, superiore rispetto alla precedente stima dell’1,9% diffusa qualche mese prima.
Revisione necessaria, aveva scritto la stessa Istat, per includere l’impatto del salvataggio delle banche venete (Popolare di Vicenza e Veneto Banca).
“L’operazione ha condotto, rispetto alle stime precedenti, a un maggiore indebitamento per il 2017, passato dai 33.184 milioni di euro a 39.691 milioni. Il debito risulta pari a 2.263 miliardi, ossia il 131,8% del Pil contro il 131,5 per cento stimato in precedenza”, si leggeva nella nota.
L’Istat spiegava che nel conteggio finale erano state apportate due modifiche sostanziali. La prima aveva riguardato la revisione da circa 1,1 a circa 1,6 miliardi dell’impatto delle operazioni relative a Mps (ricapitalizzazione e ristoro dei ‘junior bondholders’, avvenute rispettivamente a luglio e novembre 2017). L’altra, decisamente più importante, era invece relativa alla contabilizzazione degli effetti relativi alla liquidiazione coatta delle due banche venete. Il salvataggio di Popolare di Vicenza e Veneto Banca aveva comportato infatti un impatto di 4,76 miliardi sul deficit. Complessivamente, le operazioni riguardanti le banche in difficoltà avevano impattato, quindi, per circa 6,3 miliardi sull’indebitamento del 2017. L’operazione relativa alle banche venete aveva avuto un impatto complessivo sul debito pubblico di 11,2 miliardi, dei quali 4,8 connessi con il trasferimento a Intesa Sanpaolo. In altre parole, il salvataggio delle due banche venete da parte dello Stato era costato 662 euro a famiglia italiana.
ALITALIA NON DOCET, CODACONS: 8,6 MILIARDI SOLO IN ULTIMI 10 ANNI
Nessun insegnamento, evidentemente, neanche dall’eterna palla al piede italiana, Alitalia. Di recente, un articolo del Corriere della Sera ha fatto il punto della situazione degli effetti della compagnia aerea sulle casse dello Stato.
“Ancora senza socio, dopo due anni di 900 milioni di prestito pubblico”: un’azienda che perde, tra l’altro, ben 57.000 euro ogni ora che passa.
E attenzione agli altri conti fatti dalla Codacons lo scorso febbraio:
“Ad oggi Alitalia è costata, tra salvataggi, prestiti e altri interventi pubblici, la bellezza di 8,6 miliardi di euro solo negli ultimi dieci anni, un conto pari a 358 euro a famiglia: è come se ogni singolo italiano, neonati compresi, avesse sborsato 143 euro di tasca propria per il salvataggio della compagnia aerea”, aveva segnalato il presidente dell’associazione, Carlo Rienzi.
Tra l’altro la domanda che assilla diversi italiani è la seguente: dov’è la cordata per il salvataggio di Alitalia? Il vicepremier e ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio confida forse nella buona sorte e ripete che “per formare un nuovo azionariato ci sono Ferrovie dello Stato, Delta e ministero dell’Economia. In base a quello che stiamo vedendo, della torta manca un 15%”. “I commissari stanno valutando, e le offerte stanno arrivando“.
Staranno pure arrivando, ha fatto notare la scorsa settimana il quotidiano La Repubblica, ma “la partita, in realtà, è ferma al punto di febbraio. Anzi, da allora, ha fatto un passo indietro: Easyjet si è ritirata dal pool di potenziali compratori e i soldi sono arrivati solo da realtà sensibili alla moral suasion pubblica cui potrebbero ora aggiungersi altri nomi nell’orbita dello Stato come Invitalia e il fondo QuattroR, finanziato da Cdp e dalle casse previdenziali”.
La situazione sarebbe così ancora nebulosa che il quotidiano ha riportato anche, sulla base di alcune indiscrezioni, che Di Maio starebbe puntando a posticipare i termini per la vendita al dopo elezioni europee.
Nonostante questi trascorsi, e nonostante il debito pubblico italiano monstre costantemente sotto le lenti di Bruxelles, il vicepremier Luigi Di Maio, all’inizio di gennaio, si è detto più che favorevole all’ipotesi di nazionalizzare Carige. “Se mai lo stato dovrà mettere soldi in Carige -aveva detto – sarà per farla diventare una banca di Stato. Noi non abbiamo ancora messo un euro” ma “se ce li metteremo non sarà per darli al banchiere: per questo governo o si nazionalizza o non si mette un euro”. Insomma: “i cittadini mettono i soldi e i cittadini si prendono la banca”.