Blue economy: un motore sostenibile che genera un valore aggiunto di quasi 47 mld, con 200mila aziende
Non solo strategie attente al mondo green ma anche a quello blue. Di Blue economy, l’economia blu, si sente sempre più parlare. Come si può immaginare è l’economia riconducibile all’acqua, e in particolare alle risorse come oceani, mari, laghi e fiumi. Nel libro di Gunter Pauli “Blue economy 3.0. 200 progetti implementati. 5 miliardi di euro investiti. 3 milioni di nuovi posti di lavoro creati” viene posto l’accento sul fatto che l’economia blu rappresenta “un’alternativa in grado di risolvere i problemi economico-sociali e ambientali attuali. Non ricicla né protegge, ma rigenera, assicurandosi che ogni ecosistema possa seguire le proprie regole evolutive affinché tutti possano trarre beneficio dagli infiniti flussi di creatività, adattabilità e abbondanza della natura”.
In particolare, l’economia del mare è centrale per uno sviluppo sostenibile. Secondo l’ultimo “Blue Economy Report 2020”, l’economia blu dell’UE, con 5 milioni di occupati, un fatturato di 750 miliardi di euro nel 2018, e un incremento dell’11,6% rispetto all’anno precedente, rappresenta un potenziale enorme e in continua crescita. Per questo l’UE raccomanda agli Stati membri di includere nei Piani di ripresa del Recovery Fund, misure di protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi marini (quali lo sviluppo e la gestione della rete Natura 2000, la conservazione e il ripristino di specie e habitat, il controllo delle specie esotiche invasive o la costruzione di infrastrutture blu).
Unioncamere snocciola i numeri: 200mila le aziende, 47miliardi il valore aggiunto
200 mila aziende, quasi 1 milione di occupati, circa 47 miliardi di euro di valore aggiunto, un effetto moltiplicativo sull’economia di 1,9. L’81% delle competenze professionali richieste dalle imprese blu riguardano il green e la sostenibilità, l’esperienza pregressa conta per quasi il 70% delle assunzioni. Questi alcuni numeri emersi nel corso della presentazione dell’ultimo rapporto dell’economia del mare promosso dalla Camera di commercio di Frosinone-Latina in raccordo con Unioncamere e realizzato dal Centro Studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne. Numeri che non sono aggiornati al 2020, quindi all’era Covid, ma che delimitano i confini e danno l’idea di un trend ben preciso in Italia.
Entrando più nel dettaglio, più di 4 imprese della Blue Economy su 10 si occupano di servizi di alloggio e ristorazione, il 16,8% opera nella filiera ittica, il 15,2% nel settore delle attività sportive e ricreative, il 13,6% nella cantieristica, il 5,9% nella movimentazione merci e passeggeri via mare, il 3,8% nelle attività di ricerca e tutela ambiente (3,8%), lo 0,2% nell’industria delle estrazioni marine.
L’economia blu genera un valore aggiunto di 46,7 miliardi di euro, il 3% del totale economia (nel 2014 era il 2,9%), ma considerando gli effetti diretti e indiretti – per ogni euro prodotto direttamente si ha un effetto moltiplicatore di filiera pari a 1,9 – si arriva ad un valore aggiunto prodotto complessivo di 134,5 miliardi: l’8,5% del totale dell’economia. La movimentazione di merci e passeggeri via mare è il comparto a maggiore capacità moltiplicativa, dove ogni euro prodotto ne attiva 2,8 sul resto dell’economia. Altri settori dalla elevata capacità moltiplicativa sono quelli della cantieristica (moltiplicatore 2,4) e delle attività sportive e ricreative (moltiplicatore 2,1).
4 lavori su 5 richiedono skill verdi e agli under 44 va la metà delle posizioni ricercate
Entrando poi in quella che è la sfera lavorativa risparmio energetico e sostenibilità ambientale rappresentano skill centrali per trovare occupazione nella Blue economy. Secondo quanto emerge nel volume “Economia del Mare e Green Deal”, realizzato da Unioncamere sulla base dei risultati delle indagini Excelsior 2019, l’81,4% delle ricerche di lavoro richiede competenze green. E il fabbisogno di professioni della Blue Economy espresso dalle imprese è rivolto di gran lunga a giovani (fino a 29 anni 29,6%) e giovani adulti (30-44 anni 24,8%).
Quanto conta esperienza? Su 7 assunzioni su 10
Un pregresso bagaglio lavorativo è requisito importante: al 67,6% delle entrate è richiesta una esperienza specifica, quota che sale al 73% nel caso della cantieristica, dove i complessi metodi di produzione implicano technicalities e competenze specifiche acquisibili solo con l’esperienza. Inoltre, la qualifica professionale apre le porte al 60% dei candidati. In particolare, le evidenze risultanti dall’analisi per titolo di studio sono ampiamente confermate dalle professioni richieste dalle varie branche economiche che compongono la filiera della Blue Economy.
Un’analisi che, per quanto riferita all’era pre-Covid, fornisce indicazioni anche sui trend futuri. Ben il 60% delle entrate programmate per il 2019 hanno interessato figure con una qualifica professionale, un dato che riflette la forte “anima” turistica dell’economia del mare, mentre la domanda di risorse con livello universitario o superiore si ferma al 2,9%. Rappresenta un’eccezione la filiera della cantieristica (il 16,4% delle entrate programmate è rivolto a laureati), un settore dove tecnologia e competitività rendono maggiormente necessari innesti nella forza lavoro di soggetti dal più elevato grado di istruzione.